Diario di un australiano - Data australe 7 gennaio 2013
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Una volta lessi una ricerca secondo la
quale e' piu' facile l'integrazione dello straniero nei luoghi in cui
il senso di comunita' e di appartenenza sono piu' forti. Dove la
gente' e' unita e compatta il diverso non verrebbe vissuto come una
minaccia, quindi sua integrazione sarebbe piu' veloce. Quindi potremo
dire che nei paesi del bergamasco, dove anche i muri parlano
dialetto, il tunisino avrebbe maggiori chance di essere accolto e
construirsi un futuro.
Anche se questo contraddirrebbe molti
luoghi comuni su quelle terre, nell'immaginario collettivo abitate
solo da leghisti assetati di secessione, credo che sia vero. Ricordo
anni fa a Negrar avevo incontrato africani che parlavano un veneto
perfetto e piu' recentemente mi e' capitato di osservare albanesi
perfettamente integrati nei paesini della Val d'Arroscia.
Nelle nostre citta', come nella grande
Genova, dove il tessuto sociale e' disgregato e le persone si
incontrano senza conoscersi, lo straniero viene percepito spesso solo
come un pericolo, perche' con la sua diversita' mette a nudo la
nostra difficolta' di definirci come persone e come societa'.
Mi ha sempre molto affascinato questa
cosa dello straniero, del “furestu”, di questi nuovi arrivati su
cui si concentra la curiosita', il sospetto, talvolta il risentimento
di molti: gente che arriva, a volte passa e a volte resta, persone
che si integrano o che rispondono alla non accoglienza col far gruppo
a parte, come e se ci riescono. Poi come gli ex del Grande Fratello,
sono al centro dell'interesse finche' un nuovo “diverso” arriva a
scippargli lo corona di “pericolo n.1”.
Quando ero piccolo io c'erano i
“sardegnolli”. Ma “sun sardegnolli” era piu' che altro una
mera indicazione geografica, non conteneva connotazioni negative.
Anche il nome in se' faceva pensare a una sorta di simpatico puffo,
non a una minaccia all'ordine costituito.
Vincitori incontrastati del sospetto
sociale di quegli anni erano pero' i “terroni”, quelli della
“bassa”, del “tacco”, insomma i “calabrotti”. Su singoli
e famiglia si abbattevano ogni sorta di dicerie, dai contorni quasi
leggendari: non si lavavano, facevano figli come conigli e
soprattutto se ne arrivava uno potevi scommettere su una invasione
certada parte di tutti i parenti fino al terzo grado. Vestiti
perennemente a lutto, erano considerate persone dal carattere
violento, capaci di vendette terribili, essendo di certo imparentati
con terribili mafiosi o iniziati a pratiche di magia almeno grigia.
Nel paese dove e' nata mia madre e'
tutt'ora presente una signora di origini calabresi. Pur essendo una
persona squisita, ricordo che su di lei circolavano voci incredibili
che la facevano apparire a noi bambini una sorta di maga Mago'. Tutti
erano pronti a testimoniare che parlasse con le api, le quali, pur
selvatiche, le obbedivano rimanendo assoggettate da misteriose e
incomprensibili parole.
In questo campo poi e' facile fare
profezie che si autoavverano: meno ti accolgono, piu' ti isoli,
contribuendo, tuo malgrado ad alimentare sospetti, mistero ed
emarginazione.
Come Bubka con il salto con l'asta,
quelli del “sud” vincevano facilmente sempre il titolo di
“straniero dell'anno” e nulla sembrava in grado di insidiarne il
titolo. Anche i neo arrivati, i “vu cumpra” sembravano avversari
da poco. Venivano senza clamori d'estate sulle spiagge a rifilare
paccottaglia ad annoiate signore, meschinetti, accolti quasi con
simpatia e affetto. Bin laden non si sapeva chi fosse e che fossero
mussulmani non fregava niente a nessuno.
La svolta c'e' stata con gli Albanesi.
Nostri vicini da sempre, quando hanno incominciato ad attraversare
l'Adriatico, abbiamo immediatamente gridato all'invasione e iniziato
i preparativi per una difesa dura e senza esclusioni di colpi. In
breve hanno iniziato a circolare libere e incontrastate terribili
voci di furti, stupri e spaccio di droga di tale entita' che pure i
“terroni”, venivano seduta stante arruolati tra i “nostri”
per vigilare e combattere “loro”. Qui non si trattava di gente
dagli usi strani e bizzarri, ora si parlava delle nostre ville, dei
nostri soldi, della sicurezza dei nostri quartieri e di intere citta.
Insomma della salvezza Patria.
Gli “albanesi” sembravano “lo
straniero definitivo”. Poi sono arrivati i “rumeni”, gente di
fronte ai quali gli albanesi sembrano educande.
A ogni ondata un nuovo nemico, nuove
paure, stereotipi alimentati da una televisione sempre brava a
gettare benzina sul fuoco. Poco importa poi che tuo figlio abbia
magari sposato una terrona e tuo nipote esca con una albanese: quelli
sono brave persone, che non fanno statistica, gente che conosci,
gente che “sono come noi”. Del resto non e' detto che il razzismo
brilli per logica.
Ever green sono gli zingari. Possono
invaderci gli Unni, ma gli zingari restano sempre nella top ten.
Ricordo che quando arrivavano a Cogoleto, si diffondeva un timor
panico. Gia' allora mi interrogavo sul perche' persone con una tale
tendenza alla fertilita' rubassero bambini a ogni pie' sospinto. Non
capivo come gente che viveva in roulotte, spesso fatiscenti,
riuscisse a portar via bambini e farla sempre franca. Dove li
nascondevano? Come facevano a fuggire? Come riuscivano a cancellare
ai bambini la memoria e a convincerli a chiedere l'elemosina, era per
me poi fonte di struggente mistero. I miti sono miti e non
necessitano ne' di prove ne' di confrontarsi con i dubbi di un
bambino. Fatto sta' che anche oggi, generazione dopo generazione,
straniero dopo straniero, lo zingaro gode ancora di un enorme
pubblico di affezionati nemici.
Qui le cose sono uguali e diverse.
Uguali perche' poi l'uomo e' sempre tale, con tutte le sue paure e le
sue fobie irrazionali. Diverso perche' qui gli stranieri sono tanti,
praticamente tutti quelli che non hanno le inconfondibili fattezze di
un aborigeno. Si puo' poi discutere sull'Australianita' “relativa”,
fatta di arrivi remoti o recenti, ma su quella “assoluta” non
c'e' gara.
Io sono straniero. Ho la pelle tendente
al bianco. Forse non posso fingermi anglosassone, ma gli europei da
queste parti corrono comunque per il podio. Sono straniero, come le
tante orde arrivate in Italia negli anni della mia vita, come quelli
venuti a rubare i bambini o i soldi. Gente che, quando onesta, rubava
quantomeno il lavoro agli italiani.
Pero' qui, dove il 40% degli
australiani e' nato fuori dall'Australia, diventare razzisti e' un
casino, una faticaccia. Con chi prendersela, su chi catalizzare
sfighe personali e sociali, chi scegliere come “nemico” di turno?
C'e' qualche arabo, ma poca roba. Ci
sono tanti cinesi, che vanno oggi tanto di moda, ma come distinguerli
tra le frotte di asiatici tutti simili! Rischi di scegliere un
indonesiano, un filippino, un vietnamita o un birmano. Peggio potrei
sbagliare con un sudcoreano o giapponese, gente che si arrabbia
facilmente se confusa coi cinesi.
Potrei buttarmi sul colore della pelle,
ma gli indiani si confondo coi pakistani o con una miriade di gente
sia a est che a ovest. Magari poi sono pure cattolici e non sta mica
bene...
Poi il risentimento razzista si nutre
di complici da bar, con cui condividere mugugni, paure e
rifocalizzarsi sul nemico. Ma non conosco nessuno con cui mugugnare e
progettare una eventuale secessione.
La televisione poi non aiuta, cosi'
intrisa di political correct, dove anzi nessuno si permette mai una
battuta fuoriposto o un nemmeno vago riferimento razziale.
Il problema e' che qui sono tutti
troppo educati. Qui dove se anche solo ti sfiorano e' tutto un
“sorry” e tutti si apostrofano con “man” o l'amichevole
“mate”, quando ti ringraziano o ti salutano per strada. Come si
fa a fomentare l'odio ed ergersi a paladino di una qualsiasi “razza
pura” se anche alla cassa del supermercato ti chiedono come stai?
Forse dovrei buttarmi nell'outback, tra
gli australiani che masticano carne secca, tosano pecore, girano coi
suv impolverati e col cappello rubato a John Wayne. Ma anche li'
trovero' una sede della locale Lega Lombarda o mi accogliera' una
famiglia asiatica che vive qui da due generazioni?
Meglio lasciar stare. Di solito ho da
far cose piu' serie, costruir su macerie o mantenermi vivo (Guccini)
Pero' e' dura essere straniero, specie
all'inizio. Pero' capisci cose che prima solo intuivi, giudichi le
persone in maniera diversa, piu' attenta e profonda. In questa
esperienza di poverta' che e' non sapere la lingua ed essere
sradicati, ripensi alle persone che hai conosciuto in Italia, quando
e dove le parti erano ribaltate. Ricordi Eddy Sanchez, in Peru'
laureato in ingegneria e in Italia assunto dalla Cooperativa Emmaus a
fare sgombero di mobili. Immagini cosa puo' aver passato, i pensieri
che avra' fatto, le difficolta' che avra' incontrato per la lingua e
gli affetti lontani. Capisci e superi le distanze e le difficolta'
che a Genova avevano impedito di conoscersi prima e meglio.
Allora basta, mi dimetto dal club dei
razzisti, nel quale del resto non mi ero neanche mai iscritto. Mi
glorio della mia poszione di “furesto”, conscio della fortuna di
avere questa opportunita' in un momento cosi' duro e tragico per
l'Italia.
Poi forse aveva ragione l'Abbe' Pierre,
quando diceva che la “la Francia e' dei francesi, ma la terra e'
degli uomini”. Anzi mi piacerebbe essere una persona migliore e
meno pigra, dedicarmi alla rimozione dei confini che chiamano un
pezzo di terra “nazione”, che chiariscono chi e' dentro e chi sta
fuori, che dividono la gente in “extra-qualcosa” o
“clandestini”.
Ricordo che quando Eddy e Jovanna hanno
deciso di tornare in Peru', quando lui parlava della Cooperativa, le
persone che aveva incontrato e quello che aveva negli anni costruito
in Italia, piangeva. E con lui piangevano tanti Italiani nel
salutarlo. E questo mi piace e mi da tanta speranza. Grazie