Diario di un australiano - 12 giugno 2013
Arrivare ai 40
anni comporta una serie di controindicazioni, cose simili a bilanci, punti
della situazione che sfociano quando va bene in consolatorie autoassoluzioni, a
sporadici momenti depressivi quando piove o lasci prevalere le tue componenti depressive.
Le cose non vanno
male, ci sono difficoltà, ma sono poca cosa rispetto a come se la passano tanti
altri di cui conosci le storie e le fatiche quotidiane. La famiglia è la cosa
più importante che abbiamo e quella su cui impieghiamo la maggior parte delle nostre
energie quotidiane. Qualsiasi problema o bilancio sulle attuali fatiche di
questa immigrazione o le poche soddisfazioni lavorative, diventano ombra appena
visualizzi il volto e la gioia dei nostri tre figli, che sembrano crescere
sereni e in un ambiente aperto al futuro e alle possibilità. Fa però capolino
il pensiero che forse non basti occuparsi
del proprio giardino (cosa che neppure faccio..), delle proprie cose, nemmeno
forse affannarsi a mettere da parte due dollari per poter tornare a casa, in
Italia in un futuro prossimo o remoto.
Leggo su Twitter con
interesse e, un pizzico di invidia novelli reporter che migrano laddove si sta “scrivendo”
la storia, tra la frotte di Occupy Wall Street o recentemente in piazza Tsaskim
in Turchia, dove cercano di capire come e se sia possibile cambiare il mondo. Cambiare
il mondo è del resto stato lo slogan di tante generazioni, grido teoricamente
sempreverde, ma che ha conosciuto in molti, autunni, inverni e altrui
primavere, in un già visto che lascia solo amarezza e disillusione. A nostro
conforto abbiamo una serie di frasi auto assolutorie, che denunciano impotenza,
impossibilità a fidarsi del profeta di turno, tutte collaudatissime tattiche
capaci di farci tornare serenamente a sfogliare i volantini pubblicitari che ci
arrivano a casa, alla ricerca di qualcosa che ci possa far evolvere e farci
sentire felici.
“Com’è che non riesci
più a volare?” Cantava De Andrè ormai anni fa in una “Canzone per l’estate”.
Ogni tanto minaccio i miei figli di dare a tutti un calcio in culo ai 18 anni,
per poter poi fare finalmente qualcos’altro del nostro tempo e delle nostre
energie. Ma non lo stiamo facendo con la Anna e la Noemi, che dovrebbe essere l’ultima
a ricevere la liberatoria pedata, non sembra entusiasta dell’idea.
Non posso neppure
dire di non sapere né in fondo di non sapere le strade. Ho infatti avuto la
fortuna di poter viaggiare, conoscere parti di mondo ignote ai più, vedere con
i miei occhi uomini e donne impegnate in un orto più grande del mio, “senza l’idiota
in giardino a isolare le tue rose migliori”, ma anzi capaci di fare i conti con
perenni stagioni di siccità e la durezza del vivere. Parlo di tante persone
conosciute in RCA, in uno dei Paesi più
poveri del mondo, dove quando le cose stanno ferme trattieni il fiato, sapendo
che può sempre andare peggio. Con la Maru siamo stati, abbiamo visto la
devastazione post rivolta militare, città ridotte a rovine testimonianza di una
condanna storica, un ergastolo senza appello alla miseria, alla quotidiana ricerca
di cibo per i figli, rassegnato a vederli morire di malaria o anche di malattie
per noi banali. Siamo stati in zone in balia dei ribelli, dove non sapevi bene
da che parte girarti e trattenevi il fiato a ogni posto di blocco, sperando che
fossero in buona e si accontentassero di qualche sigaretta. Su queste strade dissestate
e sulle Jeep dei missionari, segnate dalle pallottole di precedenti attacchi,
ti senti schiacciato dall’immensità della devastazione, pieno di vergogna di fronte
a questa gente che comunque trova la forza di sorridere malgrado il nulla che
li circonda.
In questo scioccante
panorama, abbiamo incontrato persone eccezionali. Frati, suore e laici qualsiasi in “direzione ostinata e
contraria”, testardi nel costruire e ricostruire in perdita, sperando oltre l’evidente,
dove, come diceva il carissimo Daniele, l’unico investimento razionale era l’asfalto,
il solo elemento che non poteva essere razziato dai predoni di turno.
Forse il loro segreto
era stare concentrato sul singolo, sul bambino che accogli nel tuo ospedale,
sulle medicine da trovare anche a 100 kilometri di distanza, agli orfani da
sistemare o la scuola da costruire in quel preciso villaggio, senza farsi tante
domande sul destino universale del mondo o le sovrastrutture internazionali da
cambiare. Ci siamo innamorati di questa gente: di suor Giulia a Maigarò, con la
sua mandria di bambini abbandonati perennemente attaccati alla sua gonna, di
suor Alessandra e la sua scuola professionale per sole ragazze (secondo lei la
donna è la vera forza di cambiamento in Africa), delle due suore di Ndim, due
giganti per qualità e quantità dell’essere
del fare. Donne in lotta tenace, coraggiose ma anche attanagliate dalla paura
per il prossimo arrivo dei ribelli, la loro violenza, la solita ondata di
uccisioni, stupri e devastazioni. Ci siamo innamorati di Fra Valentino, del suo
entusiasmo malgrado la botte ricevute e quelle che ancora verranno, in quanto paga
certa per chi si fa gli affari altrui e
non resta al riparo delle mura amiche della missione.
Anche quest’anno
c’è stato l’ennesimo colpo di stato, il presidente è stato rovesciato e nuova
gente ha preso il potere a Bangui. Anche quest’anno la soldataglia arruolata
allo scopo, non paga dei soldi ricevuti è restata sul territorio a
terrorizzare, uccidere e violentare. Noi non ne sappiamo nulla perché la
Repubblica Centrafricana non se la fila nessuno, ma è in corso un dramma ormai
divenuto emergenza umanitaria.
I missionari
hanno da mo’ riaperto le scuole e gli ospedali, sempre all’erta, tra rumori di
spari e l’arrivo di nuove truppe bisognose di dimostrare potere. Quando
riaprire non è stato possibile sono rimasti lì, al loro posto, testimonianza
impotente di una volontà di futuro malgrado la prudenza, la mamma o i parenti
preoccupati in Italia e, forse, la volontà dei superiori.
Noi siamo geograficamente
distanti , troppo distanti per stile e preoccupazioni di vita. Cerchiamo di
tenerci informati, la Maru cura il sito delle suore di Maigarò e la pagina
Facebook e io vaneggio di poter un giorno devolvere la decima del mio stipendio
a loro, come dice di fare la Bibbia, anche se non è una delle pagine più lette
ai nostri giorni. Per ora non ho abbandonato il progetto, ma non ho uno
stipendio e quindi è uno dei tanti miei “entusiasmi lenti”.
Per chi invece è
interessato a saperne di più o voglia trovare una strada per essere vicino e
aiutare, segnalo questa importante iniziativa: il 16 giugno a Treviso, alla
20.30 alla Chiesa di San Gregorio ci sarà una serata di sensibilizzazione e
denuncia sulla situazione in RCA. Chi può, ci vada, che ne vale tempo e pena.
Chi non può segua
quanto scrive la Marussia su Facebook. O trovi una strada, anche migliore della
nostra…