martedì 11 giugno 2013

Diario di un australiano - 12 giugno 2013



Arrivare ai 40 anni comporta una serie di controindicazioni, cose simili a bilanci, punti della situazione che sfociano quando va bene in consolatorie autoassoluzioni, a sporadici momenti depressivi quando piove o lasci prevalere le tue componenti depressive.
Le cose non vanno male, ci sono difficoltà, ma sono poca cosa rispetto a come se la passano tanti altri di cui conosci le storie e le fatiche quotidiane. La famiglia è la cosa più importante che abbiamo e quella su cui impieghiamo la maggior parte delle nostre energie quotidiane. Qualsiasi problema o bilancio sulle attuali fatiche di questa immigrazione o le poche soddisfazioni lavorative, diventano ombra appena visualizzi il volto e la gioia dei nostri tre figli, che sembrano crescere sereni e in un ambiente aperto al futuro e alle possibilità. Fa però capolino il pensiero  che forse non basti occuparsi del proprio giardino (cosa che neppure faccio..), delle proprie cose, nemmeno forse affannarsi a mettere da parte due dollari per poter tornare a casa, in Italia in un futuro prossimo o remoto.
Leggo su Twitter con interesse e, un pizzico di invidia novelli reporter che migrano laddove si sta “scrivendo” la storia, tra la frotte di Occupy Wall Street o recentemente in piazza Tsaskim in Turchia, dove cercano di capire come e se sia possibile cambiare il mondo. Cambiare il mondo è del resto stato lo slogan di tante generazioni, grido teoricamente sempreverde, ma che ha conosciuto in molti, autunni, inverni e altrui primavere, in un già visto che lascia solo amarezza e disillusione. A nostro conforto abbiamo una serie di frasi auto assolutorie, che denunciano impotenza, impossibilità a fidarsi del profeta di turno, tutte collaudatissime tattiche capaci di farci tornare serenamente a sfogliare i volantini pubblicitari che ci arrivano a casa, alla ricerca di qualcosa che ci possa far evolvere e farci sentire felici.
“Com’è che non riesci più a volare?” Cantava De Andrè ormai anni fa in una “Canzone per l’estate”. Ogni tanto minaccio i miei figli di dare a tutti un calcio in culo ai 18 anni, per poter poi fare finalmente qualcos’altro del nostro tempo e delle nostre energie. Ma non lo stiamo facendo con la Anna e la Noemi, che dovrebbe essere l’ultima a ricevere la liberatoria pedata, non sembra entusiasta dell’idea.
Non posso neppure dire di non sapere né in fondo di non sapere le strade. Ho infatti avuto la fortuna di poter viaggiare, conoscere parti di mondo ignote ai più, vedere con i miei occhi uomini e donne impegnate in un orto più grande del mio, “senza l’idiota in giardino a isolare le tue rose migliori”, ma anzi capaci di fare i conti con perenni stagioni di siccità e la durezza del vivere. Parlo di tante persone conosciute in RCA, in uno dei  Paesi più poveri del mondo, dove quando le cose stanno ferme trattieni il fiato, sapendo che può sempre andare peggio. Con la Maru siamo stati, abbiamo visto la devastazione post rivolta militare, città ridotte a rovine testimonianza di una condanna storica, un ergastolo senza appello alla miseria, alla quotidiana ricerca di cibo per i figli, rassegnato a vederli morire di malaria o anche di malattie per noi banali. Siamo stati in zone in balia dei ribelli, dove non sapevi bene da che parte girarti e trattenevi il fiato a ogni posto di blocco, sperando che fossero in buona e si accontentassero di qualche sigaretta. Su queste strade dissestate e sulle Jeep dei missionari, segnate dalle pallottole di precedenti attacchi, ti senti schiacciato dall’immensità della devastazione, pieno di vergogna di fronte a questa gente che comunque trova la forza di sorridere malgrado il nulla che li circonda.
In questo scioccante panorama, abbiamo incontrato persone eccezionali. Frati, suore e  laici qualsiasi in “direzione ostinata e contraria”, testardi nel costruire e ricostruire in perdita, sperando oltre l’evidente, dove, come diceva il carissimo Daniele, l’unico investimento razionale era l’asfalto, il solo elemento che non poteva essere razziato dai predoni di turno.
Forse il loro segreto era stare concentrato sul singolo, sul bambino che accogli nel tuo ospedale, sulle medicine da trovare anche a 100 kilometri di distanza, agli orfani da sistemare o la scuola da costruire in quel preciso villaggio, senza farsi tante domande sul destino universale del mondo o le sovrastrutture internazionali da cambiare. Ci siamo innamorati di questa gente: di suor Giulia a Maigarò, con la sua mandria di bambini abbandonati perennemente attaccati alla sua gonna, di suor Alessandra e la sua scuola professionale per sole ragazze (secondo lei la donna è la vera forza di cambiamento in Africa), delle due suore di Ndim, due giganti  per qualità e quantità dell’essere del fare. Donne in lotta tenace, coraggiose ma anche attanagliate dalla paura per il prossimo arrivo dei ribelli, la loro violenza, la solita ondata di uccisioni, stupri e devastazioni. Ci siamo innamorati di Fra Valentino, del suo entusiasmo malgrado la botte ricevute e quelle che ancora verranno, in quanto paga  certa per chi si fa gli affari altrui e non resta al riparo delle mura amiche della missione.
Anche quest’anno c’è stato l’ennesimo colpo di stato, il presidente è stato rovesciato e nuova gente ha preso il potere a Bangui. Anche quest’anno la soldataglia arruolata allo scopo, non paga dei soldi ricevuti è restata sul territorio a terrorizzare, uccidere e violentare. Noi non ne sappiamo nulla perché la Repubblica Centrafricana non se la fila nessuno, ma è in corso un dramma ormai divenuto emergenza umanitaria.
I missionari hanno da mo’ riaperto le scuole e gli ospedali, sempre all’erta, tra rumori di spari e l’arrivo di nuove truppe bisognose di dimostrare potere. Quando riaprire non è stato possibile sono rimasti lì, al loro posto, testimonianza impotente di una volontà di futuro malgrado la prudenza, la mamma o i parenti preoccupati in Italia e, forse, la volontà dei superiori.
Noi siamo geograficamente distanti , troppo distanti per stile e preoccupazioni di vita. Cerchiamo di tenerci informati, la Maru cura il sito delle suore di Maigarò e la pagina Facebook e io vaneggio di poter un giorno devolvere la decima del mio stipendio a loro, come dice di fare la Bibbia, anche se non è una delle pagine più lette ai nostri giorni. Per ora non ho abbandonato il progetto, ma non ho uno stipendio e quindi è uno dei tanti miei “entusiasmi lenti”.
Per chi invece è interessato a saperne di più o voglia trovare una strada per essere vicino e aiutare, segnalo questa importante iniziativa: il 16 giugno a Treviso, alla 20.30 alla Chiesa di San Gregorio ci sarà una serata di sensibilizzazione e denuncia sulla situazione in RCA. Chi può, ci vada, che ne vale tempo e pena.
Chi non può segua quanto scrive la Marussia su Facebook. O trovi una strada, anche migliore della nostra…

martedì 16 aprile 2013

Diario di un australiano Data australe 17 aprile 2013

Stiamo tutti bene, la Maru ed io lavoriamo, i bimbi sono in vacanza da fine term. La Anna, che ha concluso la scuola con risultasti ben al di sopra della media, si sta godendo una vacanza in Italia, girando tra la numerosa fanmiglia che la vita le ha regalato e spero, con un poco di invidia, si stia divertendo.
Io continuo la mia esperienza al ristorante, con risultati incoraggianti. Ormai ho superato la fase di ansia e mi destreggio abbastanza in sicurezza. La paga non e' eccelsa, ma l'ambiente e' spettacolare: mai uno scazzo, urla o comportamenti nervosi. Ti accorgi che la situazione e' critica solo perche' improvvisamente la cucina piomba nel silenzio e tutti a testa bassa combattiamo per contrastare la maledetta macchinetta che inesorabile sputa ordini a velocita' disarmante. E' una cucina internazionale: il cuoco e' peruviano, poi ci sono 3 australiani, un indiano e 2 italiani. Malgrado siano tutti molto bravi e professionali il clima e' sereno e quasi goliardico. Mentre siamo nel pieno del marasma, ogni tanto il cuoco mi spegne il forno o mi nasconde i piatti appena preparati, gettandomi nel panico o costringendomi ad una spasmodica ricerca per la cucina. Si ride e si scherza di continuo, anche se le osservazioni e i rimproveri, mai sul personale, sono puntuali, come anche i suggerimenti a fare diversamente e meglio.
Per dire il tasso di professionalita', una sera dei clienti si sono lamentati di alcuni piatti, tra cui dei zucchini flower che avevo prepararo io. Io ero sicuro di aver fatto giusto, per cui il giorno dopo abbiamo rifatto il piatto e, sezionato in due un fiore di zucchina, cuoco e responsabile lo hanno assaggiato, sentenziando che chi aveva fatto il ripieno (non io) non aveva messo il sale. Sono rimasto colpito che di fronte ad una lamentela, invece di mandarli a quel paese, abbiano messo in piedi un tale ambaradan.
In questo periodo il cuoco sta rivoluzionando il menu e su ogni piatto ognuno, dal vice cuoco al lavapiatti, deve dire la sua e suggerire commenti o modifiche.
Devo riconoscere che alla mia prima esperienza di lavoro qui e col mio inglese non avrei potuto sperare di meglio. La maledetta lingua migliora, forse anche perche'' ormai conosco bene la materia e le cose che vengono dette sono quasi sempre le stesse. Sono tutti pero' molto pazienti, salvo bypassarmi quand il tempo non permette lunghe spiegazioni o semplificazioni della richiesta in termini elementari.
La cosa impressionante e' che i padroni del ristorante normalmente alle 5 salutano tutti e se ne vanno, lasciando tutto nella mani dei dipendenti. Sono di parte ma nel comportamento della truppa, poco cambia e nella professionalita' del servizio nulla. Del resto insistono molto che l'andar d'accordo con gli altri e fare gruppo e' per loro piu' importante della capacita' tecnica. Hanno costruito un sistema che li emancipa dai ritmi frenetici di un ristorante, senza patemi o stress. Chapeau.
Siamo stati a Sydney a vedere Zucchero, che e' venuto a trovarci da queste parti. Bravissimo lui e la sua band, fatta di musicisti degni di nota. Alla fine del concerto, mentre stavamo andandocene, abbiamo notato un piccola folla (20 persone, massimo 25) e abbiamo scoperto che da una uscita laterale stavano andando via i musicisti e infine pure Zucchero. Il poveretto, stanchissimo, si e' comunuqe fermato a salutare, fare le foto e gli autografi di rito. Il giorno dopo siamo stati all'Imax, il piu' grande schermo 3d del mondo: una sala con uno schermo arcuato e talmente enorme da dare la reale impressione di trovarsi circondati dal film. In alcuni momenti, nelle panoramica artiche, l'impressione era talmente forte che ho avuto sentori di vertigine. Molto bello, ci voglio portare mia madre quando tornera' qui, anche perche' dubito che abbia mai visto un film in 3d.

Venerdi' D e lo zio Cristi andranno allo stadio a vedere rugby: All Balcks contro Australia o meglio, come dicono qui Kiwis – Kangaroos. Si tratta di un premio perche' Daniel ci aiuta molto in questa fase in cui sono poco a casa ed e' straordinariamente paziente e bravo con il carattere bello spesso di sua sorella. Non so quanto sia patito di rugby, ma andarci con lo zio e a vedere gli All Blacks lo sta caricando a mille.

In questo mese di lavoro ho potuto conoscere una realta' di Canberra a me ignota. La sera, verso le 10 il centro si anima di frotte di giovani, mandrie che vagano allegri per le strade, sempre bizzarramente addibbati. E' un circo in cui vedi la giovane tendente anoressica, a braccetto con una amica balena, minigonne o abiti da Calamity Jane, in un insieme di colori e fogge, a cui nessuno fa caso e che nell'insieme sono molto divertenti. Obbedendo ad un codice a me non noto, spesso ci sono giornate a tema: una sera 4 ragazzotti erano vestiti interamente da suore, con tanto di velo avvolgente il viso, dopo una settimana andava di moda il piratesco, per cui tutti armati da sciabola e bandana in giro per le strade. Ever green le orecchie da coniglio, le corna o antenne stile insetto. Una accozzaglia di giovani che passeggiano per la citta', tutta loro, senza tema del ridicolo o men che meno preoccupati dello stile. Molto bello.
Molti sono mezzi alticci, ma si tratta di ciucche allegre, che non sfiociano mai in alterchi o liti. Una sera c'era un poveretto che suonava la chitarra per tirar su due soldi, che aveva ai suoi lati due ragazzotti ben vestiti che cantavano con lui. I due avevano le braccia intrecciate sulle spalle del cantante, come i calciatori per l'inno nazionale, e i tre ondeggiavano a suon di musica. Un quadro assolutamente divertente e commovente.
Per me che esco stanco e depresso dall'imminente lungo viaggio in autobus, mettono allegria, in quanto quello che prevale su tutto, sui vestiti, la quantita' di alcool e la musica dei pub, e' la voglia di divertirsi e stare insieme, superando le distanze etniche e culturali. Per eta' e stile non partecipo alle improvvisate feste di strada, ma me ne beo, curioso e divertito.
A noi Canberra piace. Non abbamo ancora ben compreso come ragionino gli Australiani perche' hanno modi di comportarsi che sembrano strani e fai fatica a leggere cosa pensino realmente e in che modo manifestinio l'amicizia. Il loro essere sempre gentili e political correct, all'inizio e' entusiasmente, ma in seguito lascia il dubbio che ogni azione e gesto, siano solo dettati da questo genetico sentimento di educazione. Da noi i rapporti sono piu' oscillanti, hanno punte di amore odio, piu' marcate, ma per questo i rapporti sembrano piu' veri. Sembrano, perche' la nostra analisi e' ancora all'inizio e non ci sentiamo di dare un parere definitivo ne' di accendere la nostra risposta a beneficio di Jerry Scotti.
Ad esempio sono sempre entusiasti, fano elogi sperticati per cose che a me sembrano banali se non autentiche cagate. Ogni cosa e' beautifull, great, lovely e sul lavoro ti ringraziano sempre, anche quando lo hanno gia' fanno e rifaranno 30 volte. Se fai qualcosa di sbagliato inziano esaltando le cose fatte bene e poi alla fine dicono che farai certamente meglio la prossima volta. Fa eccezione il cuoco, che da buon latino, passa e guardando quello che sto facendo dice solo “rubbish” per dirmi che devo rifare tutto. Ma lui e' appunto peruviano. A scuola e' tutto un pullulare di awards, adesivi, medagliette e incoraggiamenti, quasi che il solo venire a scuola sia di per se' aqzione meritoria di attestati e riconoscimenti.
Certo il contrario e' assolutamente peggio, ma anche questa forma forse non e' priva di rischi e alla lunga suona un po' noiosa.
Comunque saranno anche diversi da noi, ma sul lavoro, complice anche la location e il miscuglio razziale, gli australiani con cui lavoro sono splendidi e mi trovo benissimo con loro.

La diffrenza di fuso orario con l'Italia si e' ridotta a + 8, segno evidente che sta arrivando la primavera da voi e qui l'inverno. Oggi la giornata e' calda, ma la sera e la mattina il freddo ha cominciato a mordere, con qualche accenno di tosse e mal di gola. Ma a me il freddo piace e per ora per strada prevalgono quelli che girano in maglietta.

domenica 24 febbraio 2013

Diario di un australiano Data australe 25 febbraio 2012

Le giornate sono uggiose e fresche, ma siamo ancora tutti in maniche corte, fedeli all’australe fissazione che qui sia sempre estate.
Ho trovato un lavoro! Mentre vagavo per Canberra coi miei curriculum, ho visto il cartello di richiesta di un “kitchen hand” e mi sono fiondato a lasciare la candidatura. Mentre stavo gia’ per abbandonare ogni speranza, mi hanno chiamato per una intervista.
Quella dell’intervista e’ un classico da queste parti, terrore di ogni disoccupato, su cui girano leggende e per le quali esistono miriadi di consigli e dritte sicure per non fallire miseramente. Ancora in spirituale preparazione per l’incontro, il capo (che parla un italiano perfetto) mi ha chiamato per chiedermi se potevo direttamente venire a lavorare la sera successiva.
Ho lavorato gia’ tre volte in questo ristorante, occupandomi per ora solo di antipasti, insalate e, in parte, dessert. Il capo mi ha presentato l’equipe come ”una famiglia”, ma ho preso la cosa con abbondante beneficio di inventario, essendo un refrain riccorrente anche quando si tratta di una famiglia sull’orlo della separazione, con tensioni e nervosismi che rendono l’aria viziata e avvelenano il clima. In questo caso invece è certo un ambiente di lavoratori frenetici, ma in un clima sempre rispettoso, attento e quasi premuroso. Una vera sorpresa.
Malgrado i capi siano italiani, si abla solo inglese. Quando il ritmo si alza ogni incarico diventa difficile, avendo tutti sempre tanta pazienza ma meno tempo per ripetermi le cose. Il secondo giorno ho avuto un momenti di vero panico, da cui mi sono ripreso abbastanza in fretta, buttandomi sul lavoro di cui ero assolutamente “safe” e poter fare il punto della situazione. Durante la preparazione di un dolce il mio mentore mi ha detto “vai nel frigo fuori  e prendimi le fragole’, io l’ho guardato e, pur volendo fare un discorso piu’ articolato gli ho risposto: “no!”. lui ha alzato lo sguardo dal dessert e, piu’ colpito che arrabbiato, mi ha detto: “come no?”, poi dopo un attimo “ahhh, non hai capito?” ed e’ scoppiato a ridere, prima di ripetermi piu’ lentamente tutto. Abbiamo poi riso insieme diverse volte, ripetendo la scenetta che sul momento era venuta veramente bene.
Sabato ho retto da solo il mio settore ricevendo aiuto solo per la quantita’ delle cose da fare ma mai per la sostanza del saperle fare. Certo l’inglese resta un problema ma imparando a muovermi le cose sono piu’ semplici.
Al di la’ dell’aspetto economico sono molto felice di questo lavoretto, il primo che riesco a trovare qui, che non sia legato all’italiano, al volontariato o alla compassione di qualche paesano. Per ora lavoro solo 3 volte alla settimana, ma e’ un inizio.
Il resto della famiglia sta bene. La Maru sta preparando due certificazioni per il lavoro e i bambini vanno a scuola. Tutto tranquillo.

Uno degli aspetti piu’ belli della societa’ australiana e’ la capacita’ di gestire in maniera rilassata le questioni inerenti all’aspetto fisico e il vestiario. Sara’ che in Italia ho sempre avuto serie difficolta’ a vestirmi in maniera decente, ma qui e’ proprio il paradiso del casual. Si vedono certi personaggi in giro capaci di toglierti ogni timore di sfigurare o di non essere adeguatamente vestito. L’altro giorno in pieno centro ho visto un tizio vestito di tutto punto, con un completo blu, con tanto di cravatta; doveva essere una specie di avvocato, perche’ ne aveva la tipica valigetta. Solo che in testa portava un cappello a cono allargato, che prima di allora avevo visto in testa solo alle contadine nei film della guerra della guerra in Vietnam. Lo indossava con assoluta nonchalance, con tanto di spaghetto che glielo teneva ben fisso in testa. Uno spettacolo.
Inoltre grandiosa è  la regola del venerdì, giorno in cui ognuno può andare in ufficio vestito come gli pare. Io non ne frequento molti, ma dice la Maru che è seguitissima e tenuta in  molta considerazione. Il venerdì ognuno va realmente in ufficio talmente come gli capita, che mandano circolari se un particolare venerdì c’è qualche meeting o la visita di clienti importanti.

Devo invece ristabilire una verità storica o almeno combattere un luogo comune a proposito dell’ordine e della civiltà del popolo a testa in giù. Noi italiani per definizione usciamo perdenti da qualsiasi classifica inerente al senso civico e all’educazione, soprattutto per come teniamo le nostre strade, i parchi e i luoghi pubblici. Quando arrivi qui resti molto colpito dalla quantità e qualità del verde, con questi parchi in cui tutto è pulito e in ordine.
In effetti è innegabile che tutto è tenuto in maniera perfetta (pure troppo), cosa che farebbe pensare ad una popolazione che fattivamente sta attenta a non sporcare o deturpare la spettacolare natura circostante. La realtà appare come minimo un po’ più complessa.
Innanzitutto questo verde è realmente TENUTO in ordine, nel senso che ci sono orde di giardinieri, con mezzi e strumenti all’avanguardia che ogni giorno percorrono avanti e indietro questi parchi per tagliare l’erba, raccattare sterpaglie e foglie. I mezzi meccanici sono però seguiti da persone che a mano tirano su cartacce, plasticume vario, sacchetti abbandonati bellamente qui e là.
Quando ho forato in bici ho avuto occasione di passeggiare lungo le strade che comunemente percorrevo in macchina e a maggiore velocità. Lungo i bordi trovi lo spettacolo desolante di una discarica a cielo aperto, piena di contenitori per bibite, hamburger, pacchetti di sigarette vuoti, carta, cartoni e di tutt’un po’.
Sono quindi arrivato alla conclusione che non si tratta di una questione di qualità delle persone, quanto piuttosto di quantità. In Italia, siamo tanti, fors’anche troppi, e se anche diventassimo tutti “svizzeri”, maniacalmente attenti all’ambiente, difficilmente potremmo evitare di lasciare la nostra pesante impronta sull’ambiente circostante.
Qui in Australia siamo numericamente insignificanti (la metà della popolazione italiana) in un ambiente che è più grande dell’Europa. Una pulce sulla schiena di un elefante! Neanche impegnandosi allo stremo riusciremmo a fare grossi danni o almeno a sporcare il bellissimo panorama circostante.
Se vai alla spiaggia libera ad Alassio (ammesso ne esista ancora una), devi la mattina presto stendere il tuo telo da spiaggia, quasi a registrare il tuo piccolo appezzamento di terreno prima che l’orda finisca per occupare ogni spazio. Qui, all’inizio dell’estate, in spiagge immense, rischi di non trovare nessuno o intravedere un vicino a centinaia di metri lontano da te.
Numericamente insignificanti: inutile coltivare progetti di sterminio ambientale.
In effetti tutta la natura qui ha scarsa considerazione dell’uomo. Vuoi che siamo pochi, vuoi che gli aborigeni erano ancora meno e hanno da sempre avuto un rapporto do non possesso della terra, ma l’uomo è oggi  ben lontano dall’aver soggiogato l’ambiente circostante. Ad esempio se guardi le colline liguri, tutte modellate a terrazze, ti da immediatamente l’idea di una umanità in lotta, che con fatica ha soggiogato una natura ostile ai suoi bisogni. Meno poeticamente, tutte le nostre strade asfaltate sono ormai le vene che attraversano la nostra penisola in lungo e in largo, come un marchio di possesso. Qui invece le strade sono poche e per lo più attraversano un qualcosa che noi definiremmo “niente”, perchè non ci appartiene, non è nostro ma ancora in mano alla natura.
Quasi nulla qui è a misura d’uomo, tanto che ci sono decine di bestie grandi e piccole che possono mandarti a creatore se per sbaglio gli dai fastidio. Persino le mosche non hanno alcun rispetto dell’uomo. Avete presente il desolante quadretto delle mucche assediate da fastidiose mosche, che entrano loro persino negli occhi. Qui succede all’uomo. Tu le scacci, quelle immediatamente ritornano a molestarti, entrandoti negli occhi, nelle orecchie, in un crescendo di fastidio che potrebbe portarti al veloce esaurimento, se non passassi alle maniere forti. A onor del vero sono anche piuttosto lente, segno che la poca familiarità con l’uomo ne ha reso i riflessi ancora lassi. Ma se queste moshe avessero avuto nei secoli passati parenti e amici sterminati dall’uomo, orrendamente menomanti e costretti all’infermità, vedi come sarebbero più rispettose, come tramanderebbero di padre in figlio le terribili gesta dell’uomo cattivo a cui bisogna stare ben alla larga.
Chissà forse fra qualche centinaio di anni. Per ora si lotta, senza manco avere una coda come valido aiuto nella pugna

martedì 5 febbraio 2013

Diario di un australiano data australe 6 febbraio 2012

L'estate sta finendo, ma ce ne accorgiamo a giorni alterni. Oggi la temperatura puo' precipitare a 20 gradi, per risalire a 30 domani, poi arriva un temporale devastante e l'indomani torna il sereno. Comunque anche quando il sole picchia duro,l'arietta, come una ragazzetta sfrontata, resta sempre un po' freschetta.
I bambini sono tornati a scuola!! Alleluia, alleluia. Tutto bene e felici.

Prosegue l'attivita' ciclistica della Maru, anche se io posso seguirla meno, in quanto ho i frugoletti. Il primo giorno, alla ripresa del lavoro, siamo riusciti ad andare insieme. Era il battesimo della nuova bici e la circostanza solenne.
Non tutto e' filato liscio. Post discesa, comincia una pianura, dalla parti di Dickson, intervallata da fastidiosi incroci in cui devi dare la precedenza alle macchine. In alcuni tratti pero' la centaura, poteva finalmente sfogarsi di settimane di frustranti umiliazioni, lanciandosi in velocita' finora mai neppure immaginate. A un certo punto, e' sbucato da un incrocio, un collega biciclettaro sul quale la Maru e' andata ad impattare in maniera decisa e inequivocabile. Immediatamente si e' preoccupata di eventuali danni fisici, soprattutto se avesse male alla mano, la quale era visibilmente fasciata. Il tizio ha risposto “e' rotta, grazie”, ma con un tono cosi' accusatorio, che sembrava alludere che gliel'avesse appena rotta lei.
Mentre il tizio continuava ad agitare la mano, quasi fosse un testimone dell'accusa, la Maru ha spostato la sua attenzione di altri fatti piu' importanti: a) il tizio le aveva tagliato la strada, sbucando da un incrocio cieco b) non era neppure nel path delle bici, ma per far prima aveva tagliato rasente alla siepe c) LA BICICLETTA! Il velocipite nuovo di zecca, era stato tamponato dal cretino, della cui sorte a quel punto non le poteva piu' fregare una cippa.
Io ero dietro, silente. Ufficialmente perche' non volevo fare la parte del marito che si intromette per difendere la moglie inetta, praticamente perche' non avrei neanche saputo cosa e come dire. Fissavo pero' il malcapitato con un'aria leggermente intimidatoria, quasi fossi pronto ad attaccarlo alla gola al primo gesto della padrona. Questa parte forzata da spettatore, mi piace. Stai li', guardi, un po' come al cinema, senza responsabilita' o parti da portare avanti. Unico neo, in questo limbo spazio temporale, devo tenere a freno la fantasia, che a volte mi produce scherzi notevoli. Nella circostanza, appena ho scorto la mano fasciata, per un microsecondo, ho pensato: “belin che ASL, ha appena fatto l'incidente e gia' ha la mano fasciata.”. Solo per un microsecondo, giuro.
Comunque e' finita che la Maru ha iniziato a inveire a voce sempre piu' alta contro il tizio, il quale farfugliando se ne andato, temendo forse che lei finisse per chiedergli gli estremi dell'assicurazione.
Tutto bene, comunque. Per il resto della sgroppata la Maru ha continuato a sentire cigolii e rumori, a me impercettibili, ma e' bastato darle ragione due o tre volte perche' si riprendesse.

Io invece sto entrando in una fase operativa. Come insegna Lisbeth Salander, se ti muovi fanno piu' fatica a prenderti, per cui mi sto muovendo in tante direzioni. Risultati finora pochi, ma vedremo.

Lato scuola: volevo iscrivermi a un corso di cuoco, ma sono full e quello part time e' un giorno alla settimana per tre anni. Troppo poco e per troppo tempo. Ho quindi deciso di ricominciare l'inglese 4 mattine alla settimana, ma ho scoperto che per accedere al certificato IV devo passare un esame. Lunedi' vado, ma non sono fiducioso, perche' in questi mesi a casa, il mio inglese e' peggiorato.

Visto che la nostra attuale situazione economica sta destando qualche preoccupazione, nel contempo sto cercando anche un lavoro. Sono stato dai miei conoscenti abruzzesi che hanno un locale in centro, ma non hanno bisogno di una mano in cucina. Ho trovato invece due ristoranti italiani che cercano personale e ho lasciato curriculum e cover letter.
In barba alla tecnologia e alla rete, fare dei chilometri a piedi e' ancora il modo migliore per cercare una occupazione. Girovagando ho trovato diversi annunci di posizioni vacanti, tra cui un ristorante giapponese, uno etiope e uno turco. Dal turco ho lasciato la candidatura, perche' si tratta di un lavoro notturno (dalle 20 alle 6 di mattina), per 3 notti la settimana, cosa che mi lascerebbe un sacco di tempo per seguire comunque le bestioline e fare altro. Vediamo cosa succede, non ci metto il cuore sopra.
Inoltre con Daniel e la Noemi abbiamo appeso manifestini nei centri commerciali della zona in cui mi offro come insegnante privato di italiano. Mentre eravamo li' una signora ci ha anche fermati,chiedendo delucidazioni in merito perche' interessata, cosa che ha suscitato grande entusiasmo tra i miei due collaboratori. Entusiasmo sterile, perche' non ha poi chiamato nessuno, ma va bene cosi'.
In casa parliamo ogni tanto di lavoro, soldi ed economia familiare, talvolta in termini preoccupati. Dobbiamo pero' stare attenti e darci una regolata, perche' le informazioni vengono incamerate ed elaborate dalla Noemi, fuori da ogni possibile controllo. L'altro giorno ha perso l'ennesimo dentino e la mattina e' arrivata trionfante, per consegnarmi il 50% di quanto Santa Apollonia le aveva fatto trovare sotto il cuscino. Ha confessato di aver avuto un dialogo direttamente con la santa, in cui le chiedeva tanti soldi per poterli dividere coi genitori che ne hanno bisogno.
Daniel invece ha un atteggiamento diverso, rispetto ad eventuali futuri periodi di difficolta'. Siccome tiene i soldi in una cassa comune con la Noemi, di fronte alla decisione della sorella ha energicamente protestato, arrivando fino a fregarmi le monete che la Noemi mi aveva messo in tasca. Evidentemente determinato a mettere da parti soldi, almeno per la personale salvezza, ha anche detto che se la signora dell'italiano alla fine mi chiama, il 50% dei soldi della prima lezione, vanno a loro, in quanto presenti al momento del primo contatto. Non so da chi abbia preso, il maledetto.
Ho anche deciso che se nessuno degli ami gettati porta frutto, fra due giorni vado a depositare l'offerta di corsi di italiano in ogni cassetta del circondario. Tanto stare fermi non serve a nulla.
Pero' non mi abbatto. Posso avere grosse difficolta' con la la lingua e qualche problema a trovare lavoro, ma sono in un posto in cui il lavoro c'e' come anche la speranza di futuro. In Italia puoi avere gli uni ma non gli altri.
Poi ho scoperto che realmente la gente e' uno spettacolo meraviglioso e mi diverto ad andare in giro, visto che posso e devo farlo. Stamattina mentre consegnavo CV in giro, mi ha stoppato una ragazza con la maglietta di Amnesty International “You are looking for me!” mi ha detto, sbarrandomi il cammino e sorridendo. “No” le ho risposto, poi con un fare trionfante, ma complice, ho aggiunto “and I don't speack English”. Lei delusa ha replicato: “Where are you come from?” e quando le ho risposto Italia, mi ha preso la mano e guardandomi negli occhi e' partita velocissima: “sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa!”. Sono scoppiato a ridere, le ho battuto il 5 dicendo: “Wow! Fantastic! No: pizza, mamma mia e pasta! Very very good!.
Una scemata, ma sono salito in bici per andare a caccia di ristoranti di buon umore, contento e determinato a stare, malgrado tutto, ben seduto sopra la panca. Ciao

lunedì 7 gennaio 2013

Diario di un australiano - Data australe 7 gennaio 2013

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Una volta lessi una ricerca secondo la quale e' piu' facile l'integrazione dello straniero nei luoghi in cui il senso di comunita' e di appartenenza sono piu' forti. Dove la gente' e' unita e compatta il diverso non verrebbe vissuto come una minaccia, quindi sua integrazione sarebbe piu' veloce. Quindi potremo dire che nei paesi del bergamasco, dove anche i muri parlano dialetto, il tunisino avrebbe maggiori chance di essere accolto e construirsi un futuro.
Anche se questo contraddirrebbe molti luoghi comuni su quelle terre, nell'immaginario collettivo abitate solo da leghisti assetati di secessione, credo che sia vero. Ricordo anni fa a Negrar avevo incontrato africani che parlavano un veneto perfetto e piu' recentemente mi e' capitato di osservare albanesi perfettamente integrati nei paesini della Val d'Arroscia.
Nelle nostre citta', come nella grande Genova, dove il tessuto sociale e' disgregato e le persone si incontrano senza conoscersi, lo straniero viene percepito spesso solo come un pericolo, perche' con la sua diversita' mette a nudo la nostra difficolta' di definirci come persone e come societa'.

Mi ha sempre molto affascinato questa cosa dello straniero, del “furestu”, di questi nuovi arrivati su cui si concentra la curiosita', il sospetto, talvolta il risentimento di molti: gente che arriva, a volte passa e a volte resta, persone che si integrano o che rispondono alla non accoglienza col far gruppo a parte, come e se ci riescono. Poi come gli ex del Grande Fratello, sono al centro dell'interesse finche' un nuovo “diverso” arriva a scippargli lo corona di “pericolo n.1”.

Quando ero piccolo io c'erano i “sardegnolli”. Ma “sun sardegnolli” era piu' che altro una mera indicazione geografica, non conteneva connotazioni negative. Anche il nome in se' faceva pensare a una sorta di simpatico puffo, non a una minaccia all'ordine costituito.
Vincitori incontrastati del sospetto sociale di quegli anni erano pero' i “terroni”, quelli della “bassa”, del “tacco”, insomma i “calabrotti”. Su singoli e famiglia si abbattevano ogni sorta di dicerie, dai contorni quasi leggendari: non si lavavano, facevano figli come conigli e soprattutto se ne arrivava uno potevi scommettere su una invasione certada parte di tutti i parenti fino al terzo grado. Vestiti perennemente a lutto, erano considerate persone dal carattere violento, capaci di vendette terribili, essendo di certo imparentati con terribili mafiosi o iniziati a pratiche di magia almeno grigia.
Nel paese dove e' nata mia madre e' tutt'ora presente una signora di origini calabresi. Pur essendo una persona squisita, ricordo che su di lei circolavano voci incredibili che la facevano apparire a noi bambini una sorta di maga Mago'. Tutti erano pronti a testimoniare che parlasse con le api, le quali, pur selvatiche, le obbedivano rimanendo assoggettate da misteriose e incomprensibili parole.

In questo campo poi e' facile fare profezie che si autoavverano: meno ti accolgono, piu' ti isoli, contribuendo, tuo malgrado ad alimentare sospetti, mistero ed emarginazione.

Come Bubka con il salto con l'asta, quelli del “sud” vincevano facilmente sempre il titolo di “straniero dell'anno” e nulla sembrava in grado di insidiarne il titolo. Anche i neo arrivati, i “vu cumpra” sembravano avversari da poco. Venivano senza clamori d'estate sulle spiagge a rifilare paccottaglia ad annoiate signore, meschinetti, accolti quasi con simpatia e affetto. Bin laden non si sapeva chi fosse e che fossero mussulmani non fregava niente a nessuno.

La svolta c'e' stata con gli Albanesi. Nostri vicini da sempre, quando hanno incominciato ad attraversare l'Adriatico, abbiamo immediatamente gridato all'invasione e iniziato i preparativi per una difesa dura e senza esclusioni di colpi. In breve hanno iniziato a circolare libere e incontrastate terribili voci di furti, stupri e spaccio di droga di tale entita' che pure i “terroni”, venivano seduta stante arruolati tra i “nostri” per vigilare e combattere “loro”. Qui non si trattava di gente dagli usi strani e bizzarri, ora si parlava delle nostre ville, dei nostri soldi, della sicurezza dei nostri quartieri e di intere citta. Insomma della salvezza Patria.
Gli “albanesi” sembravano “lo straniero definitivo”. Poi sono arrivati i “rumeni”, gente di fronte ai quali gli albanesi sembrano educande.
A ogni ondata un nuovo nemico, nuove paure, stereotipi alimentati da una televisione sempre brava a gettare benzina sul fuoco. Poco importa poi che tuo figlio abbia magari sposato una terrona e tuo nipote esca con una albanese: quelli sono brave persone, che non fanno statistica, gente che conosci, gente che “sono come noi”. Del resto non e' detto che il razzismo brilli per logica.

Ever green sono gli zingari. Possono invaderci gli Unni, ma gli zingari restano sempre nella top ten. Ricordo che quando arrivavano a Cogoleto, si diffondeva un timor panico. Gia' allora mi interrogavo sul perche' persone con una tale tendenza alla fertilita' rubassero bambini a ogni pie' sospinto. Non capivo come gente che viveva in roulotte, spesso fatiscenti, riuscisse a portar via bambini e farla sempre franca. Dove li nascondevano? Come facevano a fuggire? Come riuscivano a cancellare ai bambini la memoria e a convincerli a chiedere l'elemosina, era per me poi fonte di struggente mistero. I miti sono miti e non necessitano ne' di prove ne' di confrontarsi con i dubbi di un bambino. Fatto sta' che anche oggi, generazione dopo generazione, straniero dopo straniero, lo zingaro gode ancora di un enorme pubblico di affezionati nemici.

Qui le cose sono uguali e diverse. Uguali perche' poi l'uomo e' sempre tale, con tutte le sue paure e le sue fobie irrazionali. Diverso perche' qui gli stranieri sono tanti, praticamente tutti quelli che non hanno le inconfondibili fattezze di un aborigeno. Si puo' poi discutere sull'Australianita' “relativa”, fatta di arrivi remoti o recenti, ma su quella “assoluta” non c'e' gara.
Io sono straniero. Ho la pelle tendente al bianco. Forse non posso fingermi anglosassone, ma gli europei da queste parti corrono comunque per il podio. Sono straniero, come le tante orde arrivate in Italia negli anni della mia vita, come quelli venuti a rubare i bambini o i soldi. Gente che, quando onesta, rubava quantomeno il lavoro agli italiani.

Pero' qui, dove il 40% degli australiani e' nato fuori dall'Australia, diventare razzisti e' un casino, una faticaccia. Con chi prendersela, su chi catalizzare sfighe personali e sociali, chi scegliere come “nemico” di turno?
C'e' qualche arabo, ma poca roba. Ci sono tanti cinesi, che vanno oggi tanto di moda, ma come distinguerli tra le frotte di asiatici tutti simili! Rischi di scegliere un indonesiano, un filippino, un vietnamita o un birmano. Peggio potrei sbagliare con un sudcoreano o giapponese, gente che si arrabbia facilmente se confusa coi cinesi.
Potrei buttarmi sul colore della pelle, ma gli indiani si confondo coi pakistani o con una miriade di gente sia a est che a ovest. Magari poi sono pure cattolici e non sta mica bene...
Poi il risentimento razzista si nutre di complici da bar, con cui condividere mugugni, paure e rifocalizzarsi sul nemico. Ma non conosco nessuno con cui mugugnare e progettare una eventuale secessione.
La televisione poi non aiuta, cosi' intrisa di political correct, dove anzi nessuno si permette mai una battuta fuoriposto o un nemmeno vago riferimento razziale.
Il problema e' che qui sono tutti troppo educati. Qui dove se anche solo ti sfiorano e' tutto un “sorry” e tutti si apostrofano con “man” o l'amichevole “mate”, quando ti ringraziano o ti salutano per strada. Come si fa a fomentare l'odio ed ergersi a paladino di una qualsiasi “razza pura” se anche alla cassa del supermercato ti chiedono come stai?
Forse dovrei buttarmi nell'outback, tra gli australiani che masticano carne secca, tosano pecore, girano coi suv impolverati e col cappello rubato a John Wayne. Ma anche li' trovero' una sede della locale Lega Lombarda o mi accogliera' una famiglia asiatica che vive qui da due generazioni?
Meglio lasciar stare. Di solito ho da far cose piu' serie, costruir su macerie o mantenermi vivo (Guccini)
Pero' e' dura essere straniero, specie all'inizio. Pero' capisci cose che prima solo intuivi, giudichi le persone in maniera diversa, piu' attenta e profonda. In questa esperienza di poverta' che e' non sapere la lingua ed essere sradicati, ripensi alle persone che hai conosciuto in Italia, quando e dove le parti erano ribaltate. Ricordi Eddy Sanchez, in Peru' laureato in ingegneria e in Italia assunto dalla Cooperativa Emmaus a fare sgombero di mobili. Immagini cosa puo' aver passato, i pensieri che avra' fatto, le difficolta' che avra' incontrato per la lingua e gli affetti lontani. Capisci e superi le distanze e le difficolta' che a Genova avevano impedito di conoscersi prima e meglio.

Allora basta, mi dimetto dal club dei razzisti, nel quale del resto non mi ero neanche mai iscritto. Mi glorio della mia poszione di “furesto”, conscio della fortuna di avere questa opportunita' in un momento cosi' duro e tragico per l'Italia.
Poi forse aveva ragione l'Abbe' Pierre, quando diceva che la “la Francia e' dei francesi, ma la terra e' degli uomini”. Anzi mi piacerebbe essere una persona migliore e meno pigra, dedicarmi alla rimozione dei confini che chiamano un pezzo di terra “nazione”, che chiariscono chi e' dentro e chi sta fuori, che dividono la gente in “extra-qualcosa” o “clandestini”.

Ricordo che quando Eddy e Jovanna hanno deciso di tornare in Peru', quando lui parlava della Cooperativa, le persone che aveva incontrato e quello che aveva negli anni costruito in Italia, piangeva. E con lui piangevano tanti Italiani nel salutarlo. E questo mi piace e mi da tanta speranza. Grazie

sabato 5 gennaio 2013

Diario di un australiano - Data australe 5 gennaio 2013

E' arrivata l'estate, quella vera. Oggi abbiamo superato i 40 e in casa siamo rimasti fissi su oltre i 32 gradi. Obiettivamente caldo, tanto caldo, come non ricordavo da tanto (e senza neppure il mare).
Quale momento piu' adatto per andare in bicicletta ogni mattina e ritornare faticando in salita, mentre pure il caschetto suda e avverti sporadici avvisaglie di svenimento?
Comunque quello della bicicletta si sta dimostrando un amore tardivo, ma forte, tanto che dopo un iniziale trascinamento da parte del sottoscritto, anche la Maru si e' appassionata. Dalla settimana prossima ricomincia a lavorare e stiamo progettando la ripresa delle attivita' agonostiche.
Facesse piu' fresco sarebbe meglio, ma in ogni caso andare in bicicletta fino in centro e' uno spettacolo: piste ciclabili talmente diffuse da scoprirne di nuove ogni giorno, tra laghetti, papagalli, cigni e foreste. Una gioia per gli occhi e per il fisico.

Prima delle sue ferie abbiamo gia' fatto qualche andata a ritorno verso il suo lavoro. Per incoraggiare la biciclettara in erba, il patto era che il sottoscritto la scortasse nei 10-12 chilometri mattutini e la andasse a prendere nel pomeriggio. Per me una goduria poter fare piu' di 40 chilometri al giorno e per lei un incoraggiamento nei suoi primi approcci con lo strumento e le strade.
Poi c'e' un sacco di gente di ogni foggia ed eta', una moltitudine che attraversa parchi e stradine verso la scuola o il lavoro. La Maru pero' non e' riuscita a godersi appieno questa comunanza, quest'essere popolo, con i biciclettari canberresi. Infatti, avendo preso, in illo tempore, una bici (cinese) in offerta da BigW (una di quele che devi montarti, stile Ikea) si ritrovava con un mezzo dalle limitatissime capacita'; in soldoni pedalava come una forsennata, mentre veniva sorpassata da anziani, bambini in triciclo, foche ammaestrate, coetanei su bici ereditate dai nonni. Una umiliazione continua. Per rendere l'idea: io fermo sui pedali andavo piu' veloce di lei che tirava al massimo.
Per Natale le abbiamo regalato una bici nuova, una bella bici, comoda e veloce. Al negozio ne ho chiesta una che vada almeno piu' veloce di un anziano sulla sedia a rotelle. Attendiamo conferme

A onor del vero il nostro allenamento di coppia ha subito alcuni intoppi. Anzi a dirla tutta non siamo mai riusciti a completare insieme neanche un tragitto, in quanto la sorte ci e' stata avversa. Al primo giorno, una foratura mi ha costretto alla resa e ad una penosa camminata sotto il sole di quasi 2 ore, mentre lei mestamente affrontava il ritorno il solitaria.
In questo mio viaggio della speranza, sotto un sole cocente, ho potuto scoprire un aspetto inquitante del popolo dei biciclettari. In realta' sotto le spoglie di ameni sportivi si nasconde una massa di impiccioni solidiali. Uno non e' libero di fare due passi sotto il sole con una bici a fianco, senza che ignoti si fermino per offrirti conforto e assistenza. Inoltre questa frotta di beneffattori pretende pure che tu parli, dica qualcosa, spieghi l'avvenuto, andando oltre il sorriso da ebete riconoscente che uso in questi casi. Con il caldo pero' il mio inglese e' regredito talmente, che al terzo buon samaritano sono riuscivo ormai solo a farfugliare “My tire boom”, pescando nella mia sconfinata cultura fumettistica. Il quarto che si e' fermato, forse interpretando per deliri da disidratazione il mio inglese, ha deciso direttamente di ignorarmi per occuparsi invece della mia ruota. Ha cosi' scoperto un bastoncino di 3 cm conficcato nel copertone.
Tutti poi si informavano dove dovessi andare. Un giovane, saputo quanto lontana fosse casa mia, mi ha dato la mano e detto “Goog luck!”. Una cosa imbarazzante, tanto piu' che questi attaccavano a parlare quando ancora erano a 10 metri e non riuscivo in alcun modo a gestire tanta generosa umanita'. Mentre stavo meditando di darmi alla macchia, allontanandomi dal sentiero, una signora si e' fermata e si e' perfino offerta di andare a casa, prendere la macchina e camallarmi fino a casa mia.
Il giorno dopo e' andata leggermente meglio. Con la ruota riparata, sono andato incontro alla Maru nel ritorno pomeridiano, armato anche di bottigliette d'acqua anti malore. Purtroppo arrivato a un incrocio la vite che tiene fisso il volante, ha ceduto e sono finito per terra con la ruota in piena rivolta anarchica. Mentre ero gia' rassegnato alla consueta caminata sotto il sole, e' successa l'ennesimo episodio da Candid Camera: un biciclettaro, sconosciuto e senza un braccio, si e' fermato e senza che potessi dire ne' bi ne' ba, e' smontato, ha aperto il suo zainetto, preso un mazzo di brugole e, sempre con una sola mano, mi ha raddrizzato e fissato il volante. Tutto in 15 secondi, mentre io stavo riprenendomi dalla sorpresa e domandandomi se scendere dalla bici e come poter essere utile, senza metterlo in imbarazzo. Ma lui, fregandosene dei miei profondi ed educati pensieri, aveva gia' finito. Abbiamo quindi ringraziato e siamo ripartiti; ci ha superato pero' subito dopo perche' per andare piu' lento della Maru avrebbe dovuto anche avere ben altre menomazioni.
Comunque uno spettacolo. Sono cosciente che spesso gruppi di persone con una passione comune, sviluppano spesso legami solidali forti, ma credo che quello che mi e' successo testimoni una attenzione e una premura per il prossimo che vada oltre l'appartenenza settarica. Qualcosa di bello e prezioso.


Vi regalo solo ancora 2 belinate.
A Sydney ho visto un bellissimo autobus natalizio. Purtroppo la foto non rende l'idea: aveva tutto il cruscotto con la schiuma bianca, stile paesaggio montano, come pure innevati apparivano tutti i finestrini laterali. L'interno era tutto colorato con luci natalizie e perfino i pali dove tenersi erano addobbati a festa. Uno spettacolo. 


Sempre a Sydney ho trovato una bellissima libreria, nel quartiere Newtown con questa bella scritta:

Traduzione per chi la vuole: “Claustrofobia e' la paura dei posti chiusi. Ad esempio: io sto andando al negozio di liquori e ho paura di trovarlo chiuso”

[Per Cristiano: non sto affatto dicendo che Sydney sia migliore di Canberra, anzi.. Ammetto solo che in tutto sto traffico e sta gente che ti preme ovunque, ci possa statisticamente essere pure qualcuno di simpatico.]

A proposito di multiculturalita' oggi mi sono imbattuto in un interessante sito di incontri amorosi. Avevo gia' incontrato quelli che studiano le affinita' astrali, quelle caratteriali, ma nesusno che puntasse sull'appartenenza religiosa. Infatti dopo un impegnativo “Gesu' cristo e' il Signore!”, lo spot ti invita ad accedere al database per trovare anime gemelle, sigle e cristiane. Se lo fanno vuol dire che e' un servizio richiesto, per cui complimenti a chi ha avuto l'idea.
Buon anno in ritardo a tutti

sabato 29 dicembre 2012

L'avanzata dei “cattolici”


Esiste una congrega, una setta neppur segreta, ormai da anni balzata agli onori della cronaca, della politca, della societa'. Trattasi dei “cattolici”. Per non confonderli con quelli che riempiono le chiese la domenica, seguaci del Nazareno, li chiameremo 'cattolici da business card”. Trattasi infatti di una evoluzione del precendente credo, una sorta di attualizzazione, nella quale e' stato fatto un profondo restyling. In questa attualizzazione del millenario credo, non sono andati molto per il sottile. Per brevita' di pensiero hanno direttamente tagliato quasi tutto l'evangelico dettame, salvando solo 3 o 4 cose:
  • il matrimonio deve essere solo tra uomo e donna, quindi niente, anche vagamente allusivo, deve essere concesso agli omosessuali. Questo e' anatema (anatemissimo)
  • l'aborto e' peccato, peccato
  • eutanasia, interruzione della nutrizione e affini: peccato
  • la droga e' brutta. La marjuana e' brutta, brutta, brutta, brutta. La cocaina: bruttina.

Una religione piuttosto facile se non sei una donna in eta' fertile, un essere umano moribondo, un omosessuale (se sei quindi “normale”) o un tossicodipendente. Infatti sono cosi' contenti di esser in pace con la propria coscienza e col loro personale dio, che si fregiano con orgoglio del nome “cattolico”, come un alunno di una bella pagella. Basta con la gente triste, schiacciata da una morale esigente e irraggiungibile.
Ti droghi? Sei frocio? No. Exulta, le porte del cielo sono spalancate per te!
Anni fa c'era anche il precetto dell'indissolubilita' matrimoniale, ma nell'ultimo sinodo della setta hanno emendato questo ciarpame. Meno male, perche', per una strana iattura, tra le file della setta abbondano sia separazioni che divorzi.
Avendo obiettivi personali facilmente raggiungibili, passano gran parte del loro tempo a cercare l'altrui redenzione, con una durezza che appare talvolta disumana. Dal padre di Eluana, passando per i genitori di un tossico massacrato dalla polizia sono sempre pronti ad aprir bocca per enunciare facili facezie e verita' disincarnate, ma non per questo meno gravi e dolorose.
Silenzio totale sull'evasione fiscale. Non e' brutta. Che poi magari una donna abortisca perche' non ci sono i soldi per una politica decente di sostegno alla maternita', non conta.

Per sedare ogni prurito nostalgico, hanno quasi del tutto abolito il termine “cristiano”, per evitare ogni possibile contatto con Gesu' e il vangelo. Usano questo termine quasi solo per rompere le balle in Europa a proposito delle “radici” della stessa; una cosa del passato, vecchia, medioevale, ancora legata ai “cattolici 1.0”.
Se le sette massoniche, hanno la segretezza come caratteristica predominante, i “cattolici da business card” sbandierano la loro appartenenza a ogni pie' sospito e in ogni dove, a testa alta e con orgoglio. E' una corsa all'oro: ci sono i medici, gli psicologi, le ostetriche, gli avvocati, i professori, le famiglie cattoliche. Siamo pero' solo all'inizio: presto arriveranno pure i salumieri e gia' gli elettricisti cattolici sono in fibrillazione. Un bel club esclusivo per tutti, in cui sentirsi in pace, contarsi, fare gruppo, aiutare gli altri e, en passant, anche se stessi e il proprio business. Soprattutto i politici (e alcuni giornalisti) ci tengono davvero tanto a sentirsi definire “cattolico': fa quasi nascere il sospetto che sia un aggettivo messo li' per dare consistenza al nulla, come una stampella da affiancare ad uno sciancato.
Non so se ci sia un percorso di iniziazione, un rito pseudo battesimale che autorizzi il singolo a fregiarsi del titolo e parlare a nome della setta. Qualcosa deve esistere, perche' dall'oggi al domani, personaggi sconosciuti e dal passato variopinto, hanno iniziato ad occupare televisori e giornali per dissertare dell'altrui morale e contrastare i potenti nemici della congrega.
Una vita di merda, passata a combattere contro le potenti lobby degli omosessuali o delle femministe, sempre pronti a insidiare i lavori parlamentari con qualche pericolossissima e subdola legge. Faticano talmente a sorvegliare l'italica morale, che nelle interviste sembrano sempre tesi, quasi incazzati, con lo sguardo vigile e pronto, incapaci di sorridere, quasi che fosse cosa peccaminosa scendere un attimo dagli spalti e concedersi una pausa dalla pugna.
Mi fanno tanta tenerezza, ma essendo ancora contaminato dalla vecchia ideologia cristiana fatico a seguirli. Anche perche' nei loro precetti di cristiano non c'e' nulla o quasi, in quanto nei vangeli non si parla ne' di aborto, ne' di omosessuali, eutanasia o droga. Queste cose, al limite, dovrebbero appartenre alla cosidetta “legge naturale”, una sorta di patrimonio dell'umanita', qualcosa di pre evangelico.

Pero' cosi' e' e lo stesso Giovanardi, uno dei capi dei 'cattolici da business card”, lo puntualizza in ogni intervista. Illuminante quella su Repubblica del 27 dicembre scorso in cui afferma: “Ho sempre pensato che quando si parla di vita, famiglia, bioetica e droga, ovvero dei valori non negoziabili, un cattolico in politica debba essere coerente con l'insegnamento della Chiesa. Ma penso altresi' che quando si parla di economia o sviluppo la Chiesa non abbia nulla da dire, perche' sono temi in cui vale la piena autonomia del politico.”

Meno male che questo Giovanardi fa parte dei “cattolici da business card”. Perche' se fosse cristiano, potrebbe essergli capitato, di aprire un vangelo, anche a caso. Avrebbe facilmente trovato un sacco di spunti interessanti in materia di economia e di sviluppo, materie sulle quali, la Chiesa ha sempre detto molto e, volendo, avrebbe tanto da dire anche oggi. Che so, le intere beatitudini, oppure 'avevo fame, mi avete dato da mangiare, nudo e mi avete vestito, ecc., quelle cosette li'. Chissa' magari troverebbe qualche idea innovativa anche per la politica internazionale, di immigrazione, del lavoro, per il rapporto con i poveri e le famiglie, quelle vere, reali e in carne e ossa, delle nostre citta'.
Gli va di culo a Giovanardi di essere dei cattolici da business card; fosse stato ancora tra i cristiani, lo avrebbero probabilmente cacciato fuori dalla chiesa a calci nel culo.
Farebbero comunque bene i “cattolici da business card” a riprendere in mano questi libri desueti. Con un po' di fortuna, potrebbero iniziare a pensare un po' piu' alla propria di conversione e imparare un maggiore pudore nel fregiarsi del nome “cattolico”. Magari anche a sorridere di piu' o usare maggior misericordia verso gli altri, sapendosi a loro volta bisognosi, come tutti, di misericordia.