lunedì 13 febbraio 2012

Diario dell'australiano Data australe 29 gennaio 2012

Da qualche giorno abbiamo inaugurato la stagione ciclistica. Non si tratta del gran premio della montagna, ma solo rinuncio alla macchina per andare al centro commerciale della city. All'andata è una passeggiata, un po' in discesa e per lo più in piano, al ritorno la cosa è leggermete più drammatica. Sarà lo scarso allenamento o un profondo senso di rispetto ma arrivati dalle parti del War Memorial, sembriamo in tutto e per tutto reduci moribondi pure noi e senza ritegno alcuno, scendiamo dalla bici e pedestramente facciamo la faticosa salita.
In realtà è un gran piacere. Quando fa caldo, arriviamo a casa che sembriamo Messner, ma nutro la segreta speranza che insistendo potremmo migliorare performance e dignità.
Devo riconoscere che in bici si apprezza il fatto di vivere a Canberra, con il suo verde e il suo traffico regolare e tendenzialmente scarso. Capita spesso poi di pedalare tra e in compagnia di pappagalli, multicolor e dalle forme bizzarre o, come oggi, di vedere dei canguri che brucano l'erba mentre stai passando.
Nella nostra via non sono molto presenti i pappagalli. Secondo Anna perchè mancano le quarcie delle cui bacche sono ghiotti. Sono invece endemici i canguri, specie la sera, quando con la macchina devi avere massima attenzione, perchè tamponarli sarebbe un dramma per la specie e per il portafoglio.
Gli animali più variopinti e interessanti sono comunque gli australiani. Parlare di australiani è tanto vago quanto inutile. Qui infatti è una tale varietà di razze e di lingue che voler mettere tutti sotto un solo cappello, significherebbe dire tutto e niente. Si parte dal bianco svedese fino al nero africano passando da una sfumatura di grigi che farebbe vergognare anche un scatola magnum di Giotto. Tutto è incredibilmente vario, dalle capigliature, al taglio degli occhi, alla forma del viso, alle taglie e altezze del fisico.
Cercare poi di capire da dove arrivino tutti è un gran casino. Bisognerebbe per lo meno avere una idea anche vaga della geografia di questa parte del mondo, per poter azzardare qualche ipotesi e sistemare qualcuno nella casella giusta. Però di geografia sono molto ignorante e il Risiko, con i suoi nomi fantasiosi, ha contribuito non poco all'attuale confusione. Gli asiatici a me sembrano tutti cinesi, gli scuretti tutti indiani, tutti gli altri sono arabi, ma sono cose che penso solo tra me in quanto certamente non lo sono e non amerebbero esserlo.
Comunque gli australiani veri esistono, gli australiani doc, quelli che affollano i campi di cricket e fanno i barbecue. Non ho ancora avuto modo di conoscerne qualcuno a fondo ma i primi contatti sono molto positivi.
Per prima cosa sono molto ospitali. All'inizio non capivo cosa diavolo avessero da dire quando entravo in un negozio; passi il "can i help you" o similari, ma la frase era sempre più lunga. Adesso ho capito che per prima cosa spesso ti chiedono "come stai?" (te e la famiglia fino alla seconda generazione), poi se possono far qualcosa per te. Si tratta certamente di forme di cortesia stereotipate, probabilmente se avessi un tumore terminale non batterebbero ciglio, ma tradisce un modo di porsi verso il mondo e gli altri che trovo bellissimo.
Credo che se a Genova, entrando in un negozio, il commesso ti chiedesse come stai, minimo penseresti di essere su Candid Camera o che sia un pericoloso maniaco sessuale che ci sta pesantemente provando. In questo aspetto qui senti proprio la nostalgia di casa, dei nostri bar in cui nessuno di caga per interi minuti, dove il barista continua a lavar bicchieri, con l'aria di chi ne ha già viste tante e non crede che tu sia quello che possa aggiungere altro, di quei negozi che quando entri sembra che disturbi, dove ti fanno i raggi per vedere se poi compri o sei solo un perdigiorno, uno scocciatore.
Siamo andati due volte al PRA per la registrazione della macchina. La seconda volta era venerdí, anzi un venerdí di ponte tra l'Australia Day e il week end. Quando arriviamo alla macchinetta che da i numeri, due donne aiutavano a pigiare il bottone giusto. Non solo, le stesse controllavano anche che tu avessi tutti i documenti necessari per evitare che perdessi tempo e lo facessi perdere a tutti.
Allo sportello c'era una signora, la stessa che ci aveva ricevuto la volta prima. Non ha fatto niente di eccezionale, nè favoritismi di sorta, ma aveva un modo di fare cosí caloroso e accogliente, che ti sentivi a casa, come dire, "benvenuto". Quando ha saputo che non eravamo in vacanza ma "definitivi", era sinceramente contenta. Giurerei che nel parlare abbia detto alla Maru due o tre volte "darling", senza mai essere leziosa. Si muoveva come se ci fossimo solo noi in tutta la stanza e il suo lavoro fosse farci stare bene e risolverci un problema.
Sarà un caso ma, da quello che ho visto io, negli uffici sono donne al 90% del personale, capi compresi; sarà un caso ma funzionano molto meglio che da noi.
Del resto cosa attendersi da un popolo che quando dici "grazie" ti risponde "you are welcome". D'accordo che non è una loro invenzione, ma vuoi mettere rispetto al nostro "prego" (chi, cosa, perchè)?
Una seconda cosa notevole è che non fanno molto caso a belinate quali la forma fisica e i vestiti. Sono stato in banca; tutte donne, compresa la direttrice, e la più magra sará stata 100 chili. Non mi interessa il "grasso è bello", ma qui non sembrano per nulla complessate, anzi sono molto gioiose e piene di vita. Sui vestiti ognuno fa quello che gli pare. Oggi al centro commerciale ho trovato una mussulmana col velo e le scarpe di Dolce & Gabbana, ma anche parecchie controfigure di Indiana Jones. Vedi donne eleganti e personaggi che sembrano appena evasi dal carcere, tipi in giacca a cravatta e simil indu.
C'è poi una usanza che trovo molto bella. Ognuno va a lavorare ogni giorno in maniera consona al tipo di impiego che ha; però il venerdí ovunque e qualunque cosa tu faccia puoi andare vestito come ti pare, anche in calzoni e maglietta bianca se ti piace. Sarà che poi al termine vanno forse al pub, ma trovo che sia rimettere i formalismi al loro posto e ridimensionare il predominio dell'immagine
La terza cosa è che qui tutti sembrano contenti. Saranno anche forse un po' sempliciotti, ma quando li accosti non hai mai l'idea di persone frustrate o scontente. Anche quelli che fanno lavori umili, che da noi sono considerati sottospecie di lavori, quasi per sfigati, qui non sono affatto in soggezione. Hanno il "no worries" come stile di vita e sono naturalmente propensi a vedere il lato bello delle cose.
L'altra sera, post fuochi d'artificio circa 2000 macchine in un posteggio, con una sola uscita. A un certo punto una cinese ha cercato di forzare la mano e per avanzare di un metro verso la liberazione. L'indiano in fila non ha gradito la mossa e ha serrato i ranghi per non farla entrare. Avanzavano di millimetro in millemetro senza cedere, finchè hanno tamponato la macchina dell'ignaro e innocente arabo che stava davanti (naturalmente sulle rispettive nazionalità non giurerei) Sono tutti scesi e gli animi stavano scaldandosi, quando dagli spettatori si è staccato un giovanottone, un australiano con una birra in mano. Si è unito al gruppo, ha constatato i danni, ha detto non so cosa, posato il braccio sulla spalla un po' di uno, un po' dell'altro, insomma tanto ha detto, tanto ha fatto che dopo pochi secondi tutti sono tornati in macchina e la cosa è finita lí.
Noi consideriamo gli americani come degli adolescentoni, loro considerano invece gli australiani come delle specie di buzzurri. Io son qui da poco; forse anche loro come Obelix sono caduti nella pentola di qualche sostanza allucinogena, ma devo dire che per il momento mi piacciono. Sono molto gentili, accoglienti senza essere invadenti e non ti mettono mai in difficoltà se non capisci la lingua o le situazioni. Magari quando mi sará chiaro anche cosa dicano, potrò darvi qualche delucidazione in più.

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