L'Italia non ha una gloriosa storia militare,
non brilliamo per strategie militari o gloriarci di vittorie epiche. Al limite
possiamo concorre all'oscar per il miglior attore non protagonista, avendo qua
e là belle storie di eroismo privato, singoli che hanno
brillato nell’opacità
generalizzata.
Nella seconda guerra mondiale a parole dovevamo
spaccare il mondo, nei fatti è bastato attraversare l'Adriatico per
abbandonare in Grecia ogni sogno di onnipotenza. In Africa finché potevamo gassare qualche indigeno, tutto glorioso e
imperiale. Quando poi sono arrivati gli inglesi siamo dovuti scappare con le
pive nel sacco.
Siamo bravi nelle missioni di pace. Tutto il
mondo ce lo riconosce. Forse lo siamo per gli stessi motivi per cui siamo
negati nel combattere per offendere. Sarebbe interessante farci uno studio.
Non siamo neanche un popolo nazionalista, che
va in visibilio per marce militari o parate di sorta. Ancora ancora le frecce
tricolore, ma per l'effetto che fa,
più che per la loro connotazione militare.
Ricordo mentre a Bari mi stavo imbarcando per
l'Albania con la Caritas, sulla nostra testa sfrecciavano gli aerei della NATO che
andavano a gettar bombe sui serbi di Milosevic. Una sensazione tremenda di
realizzare che non era una esercitazione e neppure un film, ma la guerra o
almeno il pezzo di guerra che potevo vedere.
A noi italiani piacciono gli alpini che colorano
le nostre città di allegria e di festa quando si incontrano.
Ci piacciono perché ci ricordano le montagne, la fatica della
scalata, la guerra nel freddo, la ritirata dalla Russia, gli asini, il
cappello, le aquile. Ci piacciono perché sono
tutti amanti del vino, della grappa, che bevono per scaldarsi e dimenticare di
essere soldati. Di esserci oggi e forse non più
domani. Ci piacciono perché se bevono non sono invasati, militari che
vincono le guerre, assassini spietati con gli occhi spiritati e il coltello fra
i denti, come gli storici crucchi o gli odierni marines. Gli alpini cantano,
bevono e fanno festa. Insomma gli alpini sono il prototipo dei militari
nostrani, casarecci, parenti di quelli in missione di pace, che costruiscono
scuole e ospedali. Anche i bersaglieri sono carucci, ma sono più invasati, sempre a correre senza un perché e neanche un dove.
Gli alpini che sono tutti mezzi parenti, creano
legami come i compagni di camera in chirurgia, come quei pochi che siano
scampati alla stessa malattia mortale. Sono parte di un popolo di reduci, un
gruppo unito e forte anche quando sei nato a Catania e qui son tutti bresciani.
Alpini a parte, tutto il resto sa di
plastica, una ostentazione di muscoli per burla o per farsa, come quando Daniel
sul divano combatte nemici immaginari: si sbatte, suda, fa rumori ed elabora
sceneggiature da oscar, ma è tutto per celia. E lui lo sa.
Anche in Australia celebrano il 25 aprile, ma
non in ossequio alla nostra liberazione. Qui festeggiano la festa dell’ANZAC. E’ una festa militare e come da noi e fanno
pure le parate militari, ma senza alpini, ma ha un significato molto diverso e
interessante. Non si ricorda infatti una
vittoria o un episodio militare glorioso, ma piuttosto la storia di un inutile
e stupido massacro. Il 25 aprile 1915 le truppe ANZAC (Australian and New
Zealand Army Corps) sbarcavano in Turchia per combattere a fianco degli Inglesi.
A quest’ultimi delle truppe Anzac importava ben poco
e Churcill aveva avuto la profonda intuizione che conquistando Gallipoli le
truppe alleate avrebbero avuto via libera per il Mar Nero. Dopo 8 mesi di guerra
di posizione e di quotidiani massacri, arrivò un
capoccia che disse “Abbiamo scherzato”, potete evacuare e tornare a casa, non è più importante conquistare Gallipoli. Una guerra
senza vincitori né vinti, che costò 10.000 morti tra Australiani e Neo Zeolandesi.
L’Anzac
Day è festa nazionale, niente scuola, niente lavoro. E’ il giorno del ricordo dell’inutilità della guerra, dei costi pagati in vite perdute, ma anche
il giorno dell’orgoglio nazionale per quei soldati che nel
lontano passato hanno contribuito alla crescita della coscienza della giovane
coscienza australiana.
E’
interessante la storia militare di questa giovane nazione, chiamata a mandare i
suoi figli al macello in conflitti non suoi e in terre molto lontane. Solo una
volta la guerra ha lambito i suoi territori, quando i Giapponesi, dopo Pearl Harbour
volevano conquistare tutto il Sud Est del Pacifico. In quel caso era combattere
per difendersi, in tutte le altre guerre andavano per far numero, perché parenti, loro malgrado, di cugini che si ficcavano
sempre nelle baruffe.
Devo però dire
che fissare la commemorazione delle forze armate nel giorno in cui si ricorda
una guerra inutile è spiazzante, molto poco film americano e
gloriosa epopea. Già di per sé un
giudizio politico, una presa di posizione. Che mi piace.
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