Non leggo volentieri i polemisti. Mi danno l’impressione di
essere come i vecchi giocattoli che, una volta caricati, agitano l’aria, finche’
non si esaurisce la spinta e la cordicella torna a posto. Spesso nel sentirli
ho l’impressione che sarebbero capaci di difendere l’opposta tesi con la stessa
foga e fors’anche maggior trasporto. Men che meno sopporto i polemisti
cattolici, perche’ non amo quando la fede si riduce ad ideologia. Trovo bizzarro
la contrapposizione tra un “noi” e un “loro”, come se fossimo in guerra, il
contarsi per vedere quanti siamo noi e quanti loro.
Non amo la violenza verbale. Non capisco perche’ faccia meno
problema e scandalo di quella fisica, quando sa far male e puo’ rovinare connotati
ben piu’ importanti di quelli fisici. La amo ancor meno quando usata per
difendere le posizioni di fede, “in nome di Dio”. Forse non avremo ancora
compreso la portata della crocifissione di Cristo, nella sua dimensione di
strada da seguire, di poverta’, di paradossale onnipotente debolezza. Ma certo possiamo
dire che la croce ci impedisca ogni
forma di violenza, ogni crociata contro gli eretici, gli infedeli di ieri e di
oggi.
Non mi piacciono questi tempi in cui la Chiesa sembra
giocare di rimessa, passando il tempo chiusa nel fortino a contare i suoi, distribuendo
pettorine perche’ non si confondano con gli altri. Dove ci si sorveglia l’un l’altro per saggiare la fede e
la fedelta’ al Papa, giocando a chi e’ piu’ cattolico, come fanno tra gli
ultras, dove c’e’ sempre qualcuno “piu’ tifoso” degli altri, perche’, che’ so, canta in curva o era presente quando abbiano
perso 3-0 a Reggio Calabria. Non capisco la morale dalla lista corta, che
difende giustamente la vita prima della nascita o della morte, ma non sembra essere
ugualmente coraggiosa con la vita che sta in mezzo, con tutte le sue fatiche, speranze
e seti: con le attese dei nuovi Zaccheo, delle Maddalene, dei tanti pubblicani
e peccatori che condividono i nostri stessi sentieri, i posti di lavoro e le
nostre vite.
Una volta ero a messa a Bardino Nuovo, da mia suocera, e il
prete nella predica ha detto: “perche’ Gesu’ non e’ venuto solo per noi, ma
anche per i peccatori, per i lontani”. Tu ascolti, ti guardi intorno, attendi inutilmente
una correzione che non arriva o qualcuno che si alzi e vada a sputargli in
faccia. Allora ridi, come uno scemo e capisci che ci siamo persi quando abbiamo
cominciato a crederci “giusti”, a prendere le distanze dall’umanita’ vera e
fragile, dai quei peccatori che nella versione evangelica (non bardiniana),
sono gli unici per cui Gesu’ e’ venuto.
Trovo poco digeribile Socci, sempre sopra le righe e sempre
contrapposto, spesso livoroso e violento. Ultimamente ha affermato che il
clamore e il pubblico tributo rivolto al cardinal Martini, fosse sospetto e in
qualche maniera degno di chi nella vita ha sempre strizzato l’occhio alla gloria
mondana, a discapito della fedelta’ al vangelo. Obiezione interessante, ma che
andrebbe usata sempre, magari, che so, anche in occasione dei funerali di
Giovanni Paolo II o Madre Teresa di Calcutta.
Trovo stucchevole poi questo continuo suo accenno al “deposito
della fede”, al fondamentale insieme dei dogmi e dei precetti che ogni cristiano
deve osservare. Siamo passati dalla “buona notizia”, una cosa bella da dire
agli altri, con l’urgenza e la passione di cosa importante, al deposito, una
stanza di cosa ferme, che teniamo da qualche parte, come le cose della nonna in
solaio o i quaderni delle elementari. Roba che e’ nostra, ma che prende polvere
in un posto lontano dagli occhi e dal cuore, altrove rispetto a dove viviamo
tutti I giorni, dalla cucina o dallo stanza dove stiamo coi figli.
Una volta si pensava che la fede nascesse dall’incontro col
Dio vivente, ora l’importante e’ il museo, dove tutto deve essere fisso, congelato,
immobile, in ultima istanza, morto.
Lascio quindi volentieri a Socci il suo berretto da custode
e pure plaudo la grinta con cui scatta a redarguire chi si avvicina troppo ai
quadri o sporca I tappeti. Gli lascio pure la passione con cui parla di
Medjugorie, di padre Pio, della Sindone: tutte cose carucce ma altro rispetto
alla fede, aiuti (per chi li vuole) marginali, rispetto alla centralita’ dei
vangeli.
In ogni caso mi autodenuncio alla inquisizione socciana.
Penso poco ai dogmi della mia fede, rifletto raramente sull’infallibilita’ del
Papa, elemento che trovo poco centrale nel mio essere credente. Non festeggio
il “nome di Maria”, anzi nemmeno ricordo quando e perche’ si celebri. Non leggo
mai i messaggi di Medjugorje; anzi li trovo tutti uguali e ripetitivi e, sotto
sotto, mi chiedo perche’ abbia fatto tutta sta strada per dire cose cosi’ generali,
disincarnate e in fondo noiose.
Sono un insensibile e ho poca fede. Pero’ talvolta mi
risuonano dentro le parole del vangelo, quasi sempre le trovo scomode e talvolta
riesco a trovarne significati nuovi e stupendi, man mano che cresco e imparo
cose nuove rispetto al mistero che e’ la vita. Mi sento inadeguato e troppo incline
al compromesso, per poter essere violento con chi la pensa diversamente da me o
la mia fede. Cerco, ce la metto, magari non tutta, ma quanto riesco.
Pero’ non mi chiudo nel fortino per paura della
contaminazione o il timore di scoprire altre verita’ o sentire storie diverse,
eretiche, rispetto alla mia. Non faccio crociate, ma a chi chiede, racconto, e
dico le cose in cui credo e le poche che riesco pure a vivere.
Non aggiungo la voce “cattolico” ne’ al mio nome ne’ alla
mia professione, come fa il giornalista cattolico Socci o il politico cattolico
Casini: la fede e’ cosa a cui dovrei appartenere ma che non mi appartiene. Pero’
non vendo sottoprodotti di fede, attaccandoci specificazioni logistiche, come sinistra
o destra.
Una volta sono stato a un concerto di Caparezza, in un
centro sociale sulle alture genovesi. L’ambiente era tipico, con tanto di canne
e banchetti con libercoli inneggianti alla bestemmia. Prima di Caparezza c’e’
stato lo show degli “Assalti frontali”, un duo romano di cinquantenni che facevano
musica rap, saltando come grilli e inneggiando alla rivoluzione. Terribile.
Alle 23.30 inizia caparezza, fantastico e intelligente come sempre. Tra la
mezza e l’una fa una pausa, prende il microfono e accenna ai tempi moderni,
alla manzanza di guide certe e introduce sul palco un prete, tale Don
Vitaliano, famoso, a quei tempi, per essere vicino ai no global. Caparezza,
facendo teatrino, chiede lumi al don sul passo in cui Gesu’ dice di porgere l’altra
guancia e gli lascia microfono. Il prete comincia a spiegare “che esser colpiti
sulla sinistra era la punizione degli schiavi, per cui Gesu’ dice: se mi vuoi
menare, fallo e non reagisco, ma colpiscimi sulla destra, come un uomo libero.
Non negare la mia dignita’ di essere umano”. Insomma una cosa pulita e carina, pure
con un certo senso. Mentre parlava io mi guardavo intorno, osservando questa
assemblea, composta da fumati, bestemmiatori, ubriachi persi, all’una di notte,
in un silenzio assoluto e surreale,che ascoltava un prete che era li’ per incontrarli
e parlar loro.
Ora non so se questo Don vitaliano abbia dei problemi con il
“deposito della fede”, ma tanto di capello. Almeno lui ci va, ci prova ad
uscire dal fortino, ci perde del tempo, non li da per persi o fa troppo caso
alla pettorina di colore diverso e opposto.
In attesa che arrivi l’apocalisse e qualcuno di piu’
autorevole di Socci dia le giuste pettorine, vi lascio con una canzone di
Caparezza. Sara’ pure un lontano, senzadio e pure spettinato, ma il Vangelo lo
conosce meglio di me
https://www.youtube.com/watch?v=1sBSZ0CpZs8
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