Le
giornate sono uggiose e fresche, ma siamo ancora tutti in maniche
corte, fedeli all’australe fissazione che qui sia sempre estate.
Ho
trovato un lavoro! Mentre vagavo per Canberra coi miei curriculum, ho
visto il cartello di richiesta di un “kitchen hand” e mi sono fiondato a
lasciare la candidatura. Mentre stavo gia’ per abbandonare ogni
speranza, mi hanno chiamato per una intervista.
Quella
dell’intervista e’ un classico da queste parti, terrore di ogni
disoccupato, su cui girano leggende e per le quali esistono miriadi di
consigli e dritte sicure per non fallire miseramente. Ancora in
spirituale preparazione per l’incontro, il capo (che parla un italiano
perfetto) mi ha chiamato per chiedermi se potevo direttamente venire a
lavorare la sera successiva.
Ho
lavorato gia’ tre volte in questo ristorante, occupandomi per ora solo
di antipasti, insalate e, in parte, dessert. Il capo mi ha presentato
l’equipe come ”una famiglia”, ma ho preso la cosa con abbondante
beneficio di inventario, essendo un refrain riccorrente anche quando si
tratta di una famiglia sull’orlo della separazione, con tensioni e
nervosismi che rendono l’aria viziata e avvelenano il clima. In questo
caso invece è certo un ambiente di lavoratori frenetici, ma in un clima
sempre rispettoso, attento e quasi premuroso. Una vera sorpresa.
Malgrado
i capi siano italiani, si abla solo inglese. Quando il ritmo si alza
ogni incarico diventa difficile, avendo tutti sempre tanta pazienza ma
meno tempo per ripetermi le cose. Il secondo giorno ho avuto un momenti
di vero panico, da cui mi sono ripreso abbastanza in fretta, buttandomi
sul lavoro di cui ero assolutamente “safe” e poter fare il punto della
situazione. Durante la preparazione di un dolce il mio mentore mi ha
detto “vai nel frigo fuori e prendimi le fragole’, io l’ho guardato e,
pur volendo fare un discorso piu’ articolato gli ho risposto: “no!”. lui
ha alzato lo sguardo dal dessert e, piu’ colpito che arrabbiato, mi ha
detto: “come no?”, poi dopo un attimo “ahhh, non hai capito?” ed e’
scoppiato a ridere, prima di ripetermi piu’ lentamente tutto. Abbiamo
poi riso insieme diverse volte, ripetendo la scenetta che sul momento
era venuta veramente bene.
Sabato
ho retto da solo il mio settore ricevendo aiuto solo per la quantita’
delle cose da fare ma mai per la sostanza del saperle fare. Certo
l’inglese resta un problema ma imparando a muovermi le cose sono piu’
semplici.
Al
di la’ dell’aspetto economico sono molto felice di questo lavoretto, il
primo che riesco a trovare qui, che non sia legato all’italiano, al
volontariato o alla compassione di qualche paesano. Per ora lavoro solo 3
volte alla settimana, ma e’ un inizio.
Il
resto della famiglia sta bene. La Maru sta preparando due
certificazioni per il lavoro e i bambini vanno a scuola. Tutto
tranquillo.
Uno
degli aspetti piu’ belli della societa’ australiana e’ la capacita’ di
gestire in maniera rilassata le questioni inerenti all’aspetto fisico e
il vestiario. Sara’ che in Italia ho sempre avuto serie difficolta’ a
vestirmi in maniera decente, ma qui e’ proprio il paradiso del casual.
Si vedono certi personaggi in giro capaci di toglierti ogni timore di
sfigurare o di non essere adeguatamente vestito. L’altro giorno in pieno
centro ho visto un tizio vestito di tutto punto, con un completo blu,
con tanto di cravatta; doveva essere una specie di avvocato, perche’ ne
aveva la tipica valigetta. Solo che in testa portava un cappello a cono
allargato, che prima di allora avevo visto in testa solo alle contadine
nei film della guerra della guerra in Vietnam. Lo indossava con assoluta
nonchalance, con tanto di spaghetto che glielo teneva ben fisso in
testa. Uno spettacolo.
Inoltre
grandiosa è la regola del venerdì, giorno in cui ognuno può andare in
ufficio vestito come gli pare. Io non ne frequento molti, ma dice la
Maru che è seguitissima e tenuta in molta considerazione. Il venerdì
ognuno va realmente in ufficio talmente come gli capita, che mandano
circolari se un particolare venerdì c’è qualche meeting o la visita di
clienti importanti.
Devo
invece ristabilire una verità storica o almeno combattere un luogo
comune a proposito dell’ordine e della civiltà del popolo a testa in
giù. Noi italiani per definizione usciamo perdenti da qualsiasi
classifica inerente al senso civico e all’educazione, soprattutto per
come teniamo le nostre strade, i parchi e i luoghi pubblici. Quando
arrivi qui resti molto colpito dalla quantità e qualità del verde, con
questi parchi in cui tutto è pulito e in ordine.
In
effetti è innegabile che tutto è tenuto in maniera perfetta (pure
troppo), cosa che farebbe pensare ad una popolazione che fattivamente
sta attenta a non sporcare o deturpare la spettacolare natura
circostante. La realtà appare come minimo un po’ più complessa.
Innanzitutto
questo verde è realmente TENUTO in ordine, nel senso che ci sono orde
di giardinieri, con mezzi e strumenti all’avanguardia che ogni giorno
percorrono avanti e indietro questi parchi per tagliare l’erba,
raccattare sterpaglie e foglie. I mezzi meccanici sono però seguiti da
persone che a mano tirano su cartacce, plasticume vario, sacchetti
abbandonati bellamente qui e là.
Quando
ho forato in bici ho avuto occasione di passeggiare lungo le strade che
comunemente percorrevo in macchina e a maggiore velocità. Lungo i bordi
trovi lo spettacolo desolante di una discarica a cielo aperto, piena di
contenitori per bibite, hamburger, pacchetti di sigarette vuoti, carta,
cartoni e di tutt’un po’.
Sono
quindi arrivato alla conclusione che non si tratta di una questione di
qualità delle persone, quanto piuttosto di quantità. In Italia, siamo
tanti, fors’anche troppi, e se anche diventassimo tutti “svizzeri”,
maniacalmente attenti all’ambiente, difficilmente potremmo evitare di
lasciare la nostra pesante impronta sull’ambiente circostante.
Qui
in Australia siamo numericamente insignificanti (la metà della
popolazione italiana) in un ambiente che è più grande dell’Europa. Una
pulce sulla schiena di un elefante! Neanche impegnandosi allo stremo
riusciremmo a fare grossi danni o almeno a sporcare il bellissimo
panorama circostante.
Se
vai alla spiaggia libera ad Alassio (ammesso ne esista ancora una),
devi la mattina presto stendere il tuo telo da spiaggia, quasi a
registrare il tuo piccolo appezzamento di terreno prima che l’orda
finisca per occupare ogni spazio. Qui, all’inizio dell’estate, in
spiagge immense, rischi di non trovare nessuno o intravedere un vicino a
centinaia di metri lontano da te.
Numericamente insignificanti: inutile coltivare progetti di sterminio ambientale.
In
effetti tutta la natura qui ha scarsa considerazione dell’uomo. Vuoi
che siamo pochi, vuoi che gli aborigeni erano ancora meno e hanno da
sempre avuto un rapporto do non possesso della terra, ma l’uomo è oggi
ben lontano dall’aver soggiogato l’ambiente circostante. Ad esempio se
guardi le colline liguri, tutte modellate a terrazze, ti da
immediatamente l’idea di una umanità in lotta, che con fatica ha
soggiogato una natura ostile ai suoi bisogni. Meno poeticamente, tutte
le nostre strade asfaltate sono ormai le vene che attraversano la nostra
penisola in lungo e in largo, come un marchio di possesso. Qui invece
le strade sono poche e per lo più attraversano un qualcosa che noi
definiremmo “niente”, perchè non ci appartiene, non è nostro ma ancora
in mano alla natura.
Quasi
nulla qui è a misura d’uomo, tanto che ci sono decine di bestie grandi e
piccole che possono mandarti a creatore se per sbaglio gli dai
fastidio. Persino le mosche non hanno alcun rispetto dell’uomo. Avete
presente il desolante quadretto delle mucche assediate da fastidiose
mosche, che entrano loro persino negli occhi. Qui succede all’uomo. Tu
le scacci, quelle immediatamente ritornano a molestarti, entrandoti
negli occhi, nelle orecchie, in un crescendo di fastidio che potrebbe
portarti al veloce esaurimento, se non passassi alle maniere forti. A
onor del vero sono anche piuttosto lente, segno che la poca familiarità
con l’uomo ne ha reso i riflessi ancora lassi. Ma se queste moshe
avessero avuto nei secoli passati parenti e amici sterminati dall’uomo,
orrendamente menomanti e costretti all’infermità, vedi come sarebbero
più rispettose, come tramanderebbero di padre in figlio le terribili
gesta dell’uomo cattivo a cui bisogna stare ben alla larga.
Chissà forse fra qualche centinaio di anni. Per ora si lotta, senza manco avere una coda come valido aiuto nella pugna
Fantastico la spiaggia libera di alassio, un fazzoletto! :-) Meglio quella di laigueglia! Tanti saluti da Albenga, come è piccolo il mondo!!!!!!
RispondiEliminaCiao, sono un amico/ex-collega di Marussia.
RispondiEliminaHo provato a cercare il tuo blog sulla base di un'informazione di Marussia di un po' di tempo fa e l'ho trovato molto interessante e carino!
Ho appena dato un'occhiata, ma mi riservo di tornarci con calma, spero...
Innanzitutto sono contento che tu abbia finalmente trovato un lavoro e che la vostra avventura prosegua bene!
A presto
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