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mercoledì 26 settembre 2012

Diario dell'australiano - Data australe 26 settembre 2012


Al malato spetta l'onere della prova. E' cosi' fin dalla tenera infanzia, quando devi faticosamente convincere tua madre che no, non stai bleffando, non stai fingendo per startene a letto. La situazione non migliora crescendo. Quando telefoni al lavoro per comunicare indisposizione, convivi con il tarlo di non essere creduto e che chiunque, colleghi o superiori, si sentano autorizzati a mettere in dubbio la tua onesta'. Non aiuta l'italico vezzo di frodare a destra e a manca, approfittandosi di leggi nate per tutelare i diritti di chi malato o invalido lo e' davvero.
Il probelma di fondo e' che non si puo' far sperimentare agli altri cosa si senta, quanto ti scoppi la testa o l'intensita' di una nausea. Si puo' al limite rendere l'idea, accennare, ma non si puo' trovare una formula in grado far provare cosa si senta. Anzi spesso nel cercare di abbattere questo muro di incredulita' rischi di perdere la calma, esageri i sintomi e il malessere, diventando un testimone non credibile.
Per ovviare a questo empasse la pletora degli scettici sani ha inventanto lo strumento definitivo, la cartina tornasole per stanare i truffatori e concedere il giusto riposo ai malati: il termometro. Il perfido strumento e' evoluto nel tempo, ma conserva la sua capacita' di certificare la malattia, spegnere ogni diatriba e zittire perfino la piu' scettica delle madri. Ricordo ancora con emozione, il momento in cui fissavi il diabolico bastoncino, facendolo basculare per stanare il mercurio, elemento dalla natura timida e mutevole; se la barra bluastra raggiungeva i 37 gradi era fatta. Quella era la soglia della salvezza, il numero di fronte al quale i genitori, salvo alcuni spietati esemplari, concedevano il placet alla sospirata vacanza. Siccome gli alunni si tramandavano tattiche e modi per fregare anche lo scientifico strumento, la mamma di solito procedeva anche ad una verifica manuale, posandoti una mano sulla fronte o sul collo, ma si trattava di un controllo di routine, perche' la scienza era dalla tua parte, faceva fede, al di la' delle autodichiarazioni o gli sforzi per comunicare l'incomunicabile malessere.
Esiste pero' una parte, forse non piccola, di popolazione a cui la febbre non viene, patetici figuri che per arrivare agli agognati 37 gradi devono piombare in uno stato di precoma, con dolori articolari paragonabili a fratture multiple.
Per questi sfortunati esseri, il riposo del malato e' un traguardo da conquistare con fatica e a caro prezzo. Debilitati dalla malattia e traditi dalla scienza, i malcapitati si trovano circondati da commenti sarcastici, allusioni o vere proprie accuse di frode o almeno di millantare un malessere dai piu' sopportabile, se meno pigri e piu' attibuti-muniti. Se poi il tapino appartiene al genere maschil coniugato, occorre difendere strenuamente il proprio stato, come fosse un bene da proteggere, contro uno scetticismo che farebbe impallidire pure Odifreddi.
Quando poi sei riuscito, stando abbarbicato alle coperte come una cozza allo scoglio, a sdognare la tua malattia, vieni abbandonato in camera come un lebbroso, simile ai panni sporchi nell'armadio quando hai ospiti in casa. Relegato in camera, passano le ore senza che nessuno venga a sincerarsi se ancora vivi, se necessiti di conforto morale o materiale oppure la pratica viene sbrigata con malcelato fastidio, quasi non si volesse essere complici di un inganno morale e una vera e propria truffa ai danni dell'INPS. Tu poi devi mantenere un atteggiamento consono al tuo stato di infermita', senza indulgere in comportamenti o atti, capaci di generare sospetto o confermarlo, quali leggere o guardare la televisione. Dormire e' guardato con fastidio, ma tollerato.
Forse si tratta di una tattica per spronarti, per invitarti a trovare la forze per combattere la malattia e tornare velocemente tra i deambulanti. Risorse che devi tassativamente trovarti da solo. Per questo vieni privato di ogni conforto, isolato senza inconraggiamenti o beni materiali atti a darti dall'esterno quelle energie, che devi invece autoprodurre come un anticorpo.
Le mogli devono credere molto in questa stretegia educativa, perche' esseri altrimenti dolci e comprensivi, anzi talvolta sposate proprio in virtu' di queste caratteristiche, si trasformano in implacabili aguzzini, carcerieri che ti portano il cibo come un rancio, con la passione di chi sta accudendo da anni un nonno in stato vegetativo.
Di fatto occorre ammettere che la tattica funziona, perche' alla fine e' un tale rompimento di balle che ti sollevi ancora convelescente e ti dichiari guarito, sano e perfettamente in grado di uscire dalla stanza e possibilmente anche di casa. Resta il fatto che ti sei rovinato la malattia e ti resta il dubbio che saresti guarito lo stesso anche con qualche coccola in piu'.

In questi giorni sono stato malato. Niente di grave ma mal di gola, raffreddore e influenza. Naturalmente a me la febbre non arriva nemmeno se prego. Questa mia ultima malattia pero' ha portato una considerevole novita': la Maru mi ha insultato solo una volta. Anzi si e' trattato solo una botta di “smidollato” passeggera, quasi impercettibile, parente povera di ben altri abituali trattamenti.
A questo proposito colgo l'occasione per affermare chiaramente e pubblicamente, qui e ora, che amo mia moglie. La Maru mi ha fatto notare che sarebbe carino che lo scrivessi nel diario, visto che non l'ho mai detto, per cui apro lo spazio “dedica” e lo dico.
Non che la cosa mi turbi, essendo vero. Ho pero' atteso diversi numeri del diario prima di scriverlo perche' trattasi di cosa molto delicata, che richiede un “Sitz im Leben”, un contesto particolare, per non rischiare fraintendimenti o pescare rogne. Non e' frase che si possa impunemente incollare in calce ad ogni discorso, come le facezie sul tempo. Metti che stai parlando di Hitler o di stress sul lavoro, di animali selvaggi, di aborigeni o di galline: partendo con la dischiarazione d'amore per tua moglie, presteresti il fianco ad una facile gioco di assonanze e accostamenti terribili. Il discorso finirebbe fuori dal controllo dello scrivente con effetti contrari e non desiderati.
Non sono uno solito lanciarsi in dichiarazioni amorose, sono anzi abbastanza allergico anche ai nomignoli di uso quotidiano, quali “tesoro, amore, cara” che trovo equivoci, buoni sia come ambasciatori di un sentimento vivo e forte sia come cerotti su un muro irrimediabilmente crepato. So pero' che la Marussia e' lei, e' la persona che cercavo e con cui amo stare, la compagna di tante avventure meravigliose e di quelle che ancora dovremo intramprendere. La persona che ho trovato e non intendo lasciare, “l'altra per me” che ci rende entrambi migliori e capaci di far crescere al meglio tre figli meravigliosi. Quella che scelgo ogni giorno, tranne quando sono malato, perche' li' diventa meno simpatica. Sempre stimolante, ma meno simpatica.

Anche Daniel ha preso l'award. Lo ha ritirato in contumacia, in quanto era assente per malattia alla consegna pubblica e una volta ricevuto in classe, lo ha immediatamente perso. L'ho ritrovato io dopo tre giorni, stamattina nella lunch box, mezzo unto. Recita piu' o meno che si e' inserito beautifully nella classe, lavora hard e contribuisce alle class discussion. Finisce col dire che e' un piacere to have you in our class. Mici male!
Mio suocero dice di tenere tutti 'sti award perche' hanno un peso nella futura possibilita' di ammissione in scuole piu' prestigiose, insieme a tutti i voti e le pagelle di questi anni. Tanto li teniamo perche' son bei ricordi, poi vedremo.

Qui comincia la primavera, in maniera progressiva ma inequivocabile. Le giornate sono spesso bellissime e durante il giorno il sole scalda pure troppo. La mattina e la sera fa piu' fresco ma i termosifoni sono ormai un optional poco utile e sensato.
Con Anna stiamo programmando la stagione agricola. Abbiamo attrezzato parte del nostro giardino ad uso coltivazione e lei ha pazientemente cominciato a seminare verdurame vario in vasetti. Io ho iniziato a vangare l'ampio tratto scelto, ma l'impresa e' ardua e la terra dura e bassa. Manca ancora qualche strumento piu' robusto, atto a contrastare un suolo con qualche pietra e indurito da anni di calpestio, ma abbiamo buone speranze.
Avevo pronosticato in altri tempi e luoghi una serena carriera di agricoltore a mio fratello Gianni, quando era andato a vivere sulle alture di Cogoleto; carriera che avrebbe certificato il suo definitivo invecchiamento e lo avrebbe consegnato ad un sereno tran tran verso dimore piu' stabili e tranquille. Invece temo che lo precedero'. Magari non nelle dimore eterne, ma in questa occupazione utile e pure divertente.
Questa e' una cosa che non avrei mai creduto di fare alcuni anni fa e nemmemo immaginato tanti anni fa. Ma omai sono tante le cose che mi stanno succendendo, impreviste e non ipotizzabili, che neppure le conto piu'. Me ne stupisco pero' e in fondo me ne rallegro, perche', come un bambino, gradisci le sorprese e scoprire cosa ci sia dentro.

3 commenti:

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