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martedì 11 giugno 2013

Diario di un australiano - 12 giugno 2013



Arrivare ai 40 anni comporta una serie di controindicazioni, cose simili a bilanci, punti della situazione che sfociano quando va bene in consolatorie autoassoluzioni, a sporadici momenti depressivi quando piove o lasci prevalere le tue componenti depressive.
Le cose non vanno male, ci sono difficoltà, ma sono poca cosa rispetto a come se la passano tanti altri di cui conosci le storie e le fatiche quotidiane. La famiglia è la cosa più importante che abbiamo e quella su cui impieghiamo la maggior parte delle nostre energie quotidiane. Qualsiasi problema o bilancio sulle attuali fatiche di questa immigrazione o le poche soddisfazioni lavorative, diventano ombra appena visualizzi il volto e la gioia dei nostri tre figli, che sembrano crescere sereni e in un ambiente aperto al futuro e alle possibilità. Fa però capolino il pensiero  che forse non basti occuparsi del proprio giardino (cosa che neppure faccio..), delle proprie cose, nemmeno forse affannarsi a mettere da parte due dollari per poter tornare a casa, in Italia in un futuro prossimo o remoto.
Leggo su Twitter con interesse e, un pizzico di invidia novelli reporter che migrano laddove si sta “scrivendo” la storia, tra la frotte di Occupy Wall Street o recentemente in piazza Tsaskim in Turchia, dove cercano di capire come e se sia possibile cambiare il mondo. Cambiare il mondo è del resto stato lo slogan di tante generazioni, grido teoricamente sempreverde, ma che ha conosciuto in molti, autunni, inverni e altrui primavere, in un già visto che lascia solo amarezza e disillusione. A nostro conforto abbiamo una serie di frasi auto assolutorie, che denunciano impotenza, impossibilità a fidarsi del profeta di turno, tutte collaudatissime tattiche capaci di farci tornare serenamente a sfogliare i volantini pubblicitari che ci arrivano a casa, alla ricerca di qualcosa che ci possa far evolvere e farci sentire felici.
“Com’è che non riesci più a volare?” Cantava De Andrè ormai anni fa in una “Canzone per l’estate”. Ogni tanto minaccio i miei figli di dare a tutti un calcio in culo ai 18 anni, per poter poi fare finalmente qualcos’altro del nostro tempo e delle nostre energie. Ma non lo stiamo facendo con la Anna e la Noemi, che dovrebbe essere l’ultima a ricevere la liberatoria pedata, non sembra entusiasta dell’idea.
Non posso neppure dire di non sapere né in fondo di non sapere le strade. Ho infatti avuto la fortuna di poter viaggiare, conoscere parti di mondo ignote ai più, vedere con i miei occhi uomini e donne impegnate in un orto più grande del mio, “senza l’idiota in giardino a isolare le tue rose migliori”, ma anzi capaci di fare i conti con perenni stagioni di siccità e la durezza del vivere. Parlo di tante persone conosciute in RCA, in uno dei  Paesi più poveri del mondo, dove quando le cose stanno ferme trattieni il fiato, sapendo che può sempre andare peggio. Con la Maru siamo stati, abbiamo visto la devastazione post rivolta militare, città ridotte a rovine testimonianza di una condanna storica, un ergastolo senza appello alla miseria, alla quotidiana ricerca di cibo per i figli, rassegnato a vederli morire di malaria o anche di malattie per noi banali. Siamo stati in zone in balia dei ribelli, dove non sapevi bene da che parte girarti e trattenevi il fiato a ogni posto di blocco, sperando che fossero in buona e si accontentassero di qualche sigaretta. Su queste strade dissestate e sulle Jeep dei missionari, segnate dalle pallottole di precedenti attacchi, ti senti schiacciato dall’immensità della devastazione, pieno di vergogna di fronte a questa gente che comunque trova la forza di sorridere malgrado il nulla che li circonda.
In questo scioccante panorama, abbiamo incontrato persone eccezionali. Frati, suore e  laici qualsiasi in “direzione ostinata e contraria”, testardi nel costruire e ricostruire in perdita, sperando oltre l’evidente, dove, come diceva il carissimo Daniele, l’unico investimento razionale era l’asfalto, il solo elemento che non poteva essere razziato dai predoni di turno.
Forse il loro segreto era stare concentrato sul singolo, sul bambino che accogli nel tuo ospedale, sulle medicine da trovare anche a 100 kilometri di distanza, agli orfani da sistemare o la scuola da costruire in quel preciso villaggio, senza farsi tante domande sul destino universale del mondo o le sovrastrutture internazionali da cambiare. Ci siamo innamorati di questa gente: di suor Giulia a Maigarò, con la sua mandria di bambini abbandonati perennemente attaccati alla sua gonna, di suor Alessandra e la sua scuola professionale per sole ragazze (secondo lei la donna è la vera forza di cambiamento in Africa), delle due suore di Ndim, due giganti  per qualità e quantità dell’essere del fare. Donne in lotta tenace, coraggiose ma anche attanagliate dalla paura per il prossimo arrivo dei ribelli, la loro violenza, la solita ondata di uccisioni, stupri e devastazioni. Ci siamo innamorati di Fra Valentino, del suo entusiasmo malgrado la botte ricevute e quelle che ancora verranno, in quanto paga  certa per chi si fa gli affari altrui e non resta al riparo delle mura amiche della missione.
Anche quest’anno c’è stato l’ennesimo colpo di stato, il presidente è stato rovesciato e nuova gente ha preso il potere a Bangui. Anche quest’anno la soldataglia arruolata allo scopo, non paga dei soldi ricevuti è restata sul territorio a terrorizzare, uccidere e violentare. Noi non ne sappiamo nulla perché la Repubblica Centrafricana non se la fila nessuno, ma è in corso un dramma ormai divenuto emergenza umanitaria.
I missionari hanno da mo’ riaperto le scuole e gli ospedali, sempre all’erta, tra rumori di spari e l’arrivo di nuove truppe bisognose di dimostrare potere. Quando riaprire non è stato possibile sono rimasti lì, al loro posto, testimonianza impotente di una volontà di futuro malgrado la prudenza, la mamma o i parenti preoccupati in Italia e, forse, la volontà dei superiori.
Noi siamo geograficamente distanti , troppo distanti per stile e preoccupazioni di vita. Cerchiamo di tenerci informati, la Maru cura il sito delle suore di Maigarò e la pagina Facebook e io vaneggio di poter un giorno devolvere la decima del mio stipendio a loro, come dice di fare la Bibbia, anche se non è una delle pagine più lette ai nostri giorni. Per ora non ho abbandonato il progetto, ma non ho uno stipendio e quindi è uno dei tanti miei “entusiasmi lenti”.
Per chi invece è interessato a saperne di più o voglia trovare una strada per essere vicino e aiutare, segnalo questa importante iniziativa: il 16 giugno a Treviso, alla 20.30 alla Chiesa di San Gregorio ci sarà una serata di sensibilizzazione e denuncia sulla situazione in RCA. Chi può, ci vada, che ne vale tempo e pena.
Chi non può segua quanto scrive la Marussia su Facebook. O trovi una strada, anche migliore della nostra…

5 commenti:

  1. come scrittore hai un futuro, come uomo sei splendido. le stesse cose le penso anch'io sul mio stipendio. mi riprometto sempre grandi cose, poi mi limito a crescere i figli e ad occuparmi della famiglia. chissà, verranno tempi migliori. c'è la luce in fondo al tunnel. Un grosso abbraccio nipoti miei. un grossissimo abbraccio

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  2. sei sparito!! ti prego facci sapere come vanno le cose!! daniela

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